raccolta di collegamenti e qualche appunto su questioni di diritto dell'informatica, sicurezza, morale...
giovedì 24 aprile 2008
"Genitori, il problema non è il porno"
Questo riepilogo non è disponibile.
Fai clic qui per visualizzare il post.
In attesa di una giusta direzione
Questo riepilogo non è disponibile.
Fai clic qui per visualizzare il post.
Pornografia apparente e virtuale
http://www.psicologiagiuridica.com/numero%20010/editoriale/editoriale.PDF
Psicologia e Giustizia
Anno V, numero 2
Luglio -Dicembre 2004
Pornografia apparente e virtuale
Il DDL (disegno di legge) 7.11.2003 ha recepito la decisione europea N. 68/04
introducendo nuove fattispeci penali in tema di pedo-pornografia che spiccano per
novità (art. 3.1 tradotto in art. 600 quater.1 e 600 quater.2 c.p.):
a)
La pornografia apparente in cui il minore tale non è perché vengono
utilizzate persone che per le loro caratteristiche fisiche hanno le sembianze
di minori di anni 18;
b)
La pornografia virtuale per cui il materiale pornografico ritrae o rappresenta
visivamente realistiche immagini virtuali di minori di anni 18. Tali immagini
sono realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o
in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come
vere situazioni non reali.
Il legislatore ha previsto che le pene vengano diminuite in questi casi di un terzo.
Gli Stati Membri devono adottare le disposizioni necessarie per conformarsi a quella
decisione entro il 20 gennaio 2006 ed è per questo che si è aperta la discussione su
questo DDL. Qui di seguito riporto le osservazioni che ho presentato al Convegno
Nazionale Mediazione Penale: quali prospettive?, organizzato dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche e dall’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari, con il patrocinio del
Senato della Repubblica, del Dipartimento Giustizia Minorile, del Ministero della
Giustizia e del Comitato Italiano per l’Unicef Onlus, tenutosi a Roma il 20 gennaio
2005.
La scelta del legislatore italiano è criticabile sotto numerosi aspetti. Intanto ricordiamo
che l’art. 2 della decisione della Comunità Europea del 21 dicembre 2003, n. 68/2004
aveva previsto che queste due fattispeci, ovvero la pornografia apparente e virtuale,
potessero essere escluse dalla punibilità degli Stati Membri.
Nonostante la diminuzione di un terzo, le pene sono aspre (si tenga conto che esse
prima della riduzione prevista dal DDL per la realizzazione e la produzione sono da 6 a
18 anni e più la multa da euro 25822 a 258228 e che per essersi procurato e aver
detenuto materiale pornografico c’è la punizione alla reclusione fino a 3 anni con multa
non inferiore a 1549 euro). Nella relazione al disegno di legge approvato dal Consiglio
dei Ministri del 7 novembre 2003 si legge che si è voluto solo parzialmente seguire la
possibilità di esclusione in quanto si ritiene che questi fatti siano comunque gravi in
quanto “suscettibili, comunque, di produrre effetti di incremento e diffusione del
fenomeno della pornografia minorile e siano dunque da considerare meritevoli di
repressione penale”. Si tratta di una dichiarazione di principio rispettabile ma poco
suffragata sotto il profilo empirico. Si tenga conto che il codice penale queste fattispeci
sono inserite nel capo III “Dei delitti contro la libertà individuale” sezione I “Dei delitti
contro la personalità individuale” del libro II del Codice Penale, pertanto il bene
giuridico è la salvaguardia dello sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale
del minore. Ora in questi casi, trattandosi di minori apparenti o minori virtuale, non si
vede come potrebbero risultare offesi da simile fatti né si riesce a provare – almeno allo
stato – che la pornografia apparente o virtuale possa incentivare altri delitti. Le pene
appaiono così gravi da poter essere addirittura criticate sotto il profilo della loro
costituzionalità. Un’altra critica è quella di non avere definito cos’è la pornografia
infantile. La decisione quadro la definisce come segue: “un bambino reale implicato o
coinvolto in una condotta sessualmente esplicita fra cui l’esibizione lasciva dei genitali
o dell’area pubica”. Naturalmente il concetto di “esibizione lasciva” mette a repentaglio
parecchie persone che fotografano i loro bambini nudi al mare o mentre fanno il
bagnetto. Comunque è apprezzabile il tentativo di dare una definizione che manca,
come detto, nel disegno di legge.
Guglielmo Gulotta
Psicologia e Giustizia
Anno V, numero 2
Luglio -Dicembre 2004
Pornografia apparente e virtuale
Il DDL (disegno di legge) 7.11.2003 ha recepito la decisione europea N. 68/04
introducendo nuove fattispeci penali in tema di pedo-pornografia che spiccano per
novità (art. 3.1 tradotto in art. 600 quater.1 e 600 quater.2 c.p.):
a)
La pornografia apparente in cui il minore tale non è perché vengono
utilizzate persone che per le loro caratteristiche fisiche hanno le sembianze
di minori di anni 18;
b)
La pornografia virtuale per cui il materiale pornografico ritrae o rappresenta
visivamente realistiche immagini virtuali di minori di anni 18. Tali immagini
sono realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o
in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come
vere situazioni non reali.
Il legislatore ha previsto che le pene vengano diminuite in questi casi di un terzo.
Gli Stati Membri devono adottare le disposizioni necessarie per conformarsi a quella
decisione entro il 20 gennaio 2006 ed è per questo che si è aperta la discussione su
questo DDL. Qui di seguito riporto le osservazioni che ho presentato al Convegno
Nazionale Mediazione Penale: quali prospettive?, organizzato dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche e dall’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari, con il patrocinio del
Senato della Repubblica, del Dipartimento Giustizia Minorile, del Ministero della
Giustizia e del Comitato Italiano per l’Unicef Onlus, tenutosi a Roma il 20 gennaio
2005.
La scelta del legislatore italiano è criticabile sotto numerosi aspetti. Intanto ricordiamo
che l’art. 2 della decisione della Comunità Europea del 21 dicembre 2003, n. 68/2004
aveva previsto che queste due fattispeci, ovvero la pornografia apparente e virtuale,
potessero essere escluse dalla punibilità degli Stati Membri.
Nonostante la diminuzione di un terzo, le pene sono aspre (si tenga conto che esse
prima della riduzione prevista dal DDL per la realizzazione e la produzione sono da 6 a
18 anni e più la multa da euro 25822 a 258228 e che per essersi procurato e aver
detenuto materiale pornografico c’è la punizione alla reclusione fino a 3 anni con multa
non inferiore a 1549 euro). Nella relazione al disegno di legge approvato dal Consiglio
dei Ministri del 7 novembre 2003 si legge che si è voluto solo parzialmente seguire la
possibilità di esclusione in quanto si ritiene che questi fatti siano comunque gravi in
quanto “suscettibili, comunque, di produrre effetti di incremento e diffusione del
fenomeno della pornografia minorile e siano dunque da considerare meritevoli di
repressione penale”. Si tratta di una dichiarazione di principio rispettabile ma poco
suffragata sotto il profilo empirico. Si tenga conto che il codice penale queste fattispeci
sono inserite nel capo III “Dei delitti contro la libertà individuale” sezione I “Dei delitti
contro la personalità individuale” del libro II del Codice Penale, pertanto il bene
giuridico è la salvaguardia dello sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale
del minore. Ora in questi casi, trattandosi di minori apparenti o minori virtuale, non si
vede come potrebbero risultare offesi da simile fatti né si riesce a provare – almeno allo
stato – che la pornografia apparente o virtuale possa incentivare altri delitti. Le pene
appaiono così gravi da poter essere addirittura criticate sotto il profilo della loro
costituzionalità. Un’altra critica è quella di non avere definito cos’è la pornografia
infantile. La decisione quadro la definisce come segue: “un bambino reale implicato o
coinvolto in una condotta sessualmente esplicita fra cui l’esibizione lasciva dei genitali
o dell’area pubica”. Naturalmente il concetto di “esibizione lasciva” mette a repentaglio
parecchie persone che fotografano i loro bambini nudi al mare o mentre fanno il
bagnetto. Comunque è apprezzabile il tentativo di dare una definizione che manca,
come detto, nel disegno di legge.
Guglielmo Gulotta
Moloch
http://newsletter.olografix.org/
(marzo 2006)
Due nuove leggi a fine legislatura hanno dato un ulteriore giro di vi-
te ai diritti nella rete. L’accusa arriva da ALCEI, la storica “Asso-
ciazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva”,
che si occupa in Italia di diritti telematici (www.alcei.org). La pri-
ma legge è la modifica della 269/98 approvata il 23 gennaio dal titolo
“Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet”. Un legge che
Alcei già contestava per le “inaccettabili estensioni dei poteri di
polizia” e che ora presenta due discutibili novità. La prima è l’arti-
colo 4 che introduce il reato di “pornografia virtuale” con una defi-
nizione che per Alcei “si presta a interpretazioni strumentali e dis-
crezionali che vanno a incidere addirittura sul condizionamento del
pensiero“. La seconda, con l’articolo 14 Bis, è l’introduzione di un
“Centro nazionale, contrasto della pedopornografia sulla rete Inter-
net” che funzionerà da collettore delle segnalazioni di siti incrimi-
nati, nonché di gestori e beneficiari di pagamenti collegati a questi
reati. Un vero e proprio “Moloch che al di fuori di ogni controllo
della magistratura esegue attività di indagine”. Non solo, la legge
obbliga i provider, ovvero quelle imprese che offrono servizi e la pos-
sibilità di collegarsi ad Internet, a segnalare a questo centro sogget-
ti o imprese che siano sospettabili di diffondere materiali di questo
tipo, conservarne copia per 45 giorni ed applicare filtri decisi dal
ministero. In caso di mancanza rispetto a questi obblighi verrebbero
applicate delle multe. Una situazione che per Alcei nel nome di una
“finta tutela dei minori, come per l’abusato pretesto della lotta al
terrorismo”, in realtà introduce norme e principi che poi sono facil-
mnete estendibili “anche ad altri ambiti variamente repressivi e liber-
ticidi, come il diritto d’autore, la manifestazione di opinioni scomo-
de o la lotta politica - con le conseguenze che è facile immaginare”.
Una denuncia che vale anche per gli altri dispositivi di legge conte-
stati, ovvero gli articoli 535, 536 e 537 dell’ultima finanziaria, nei
quali il governo ha dettato all’internet italiana “le regole per impe-
dire che gli utenti possano collegarsi ad una lista nera di siti”. In
questo caso si tratta di siti che offrono giochi e scommesse online ma
che di fatto introduce “un altro provvedimento normativo di schedatura
e controllo generalizzato, questa volta con la scusa del gioco d’azzar-
do” . Su disposizione di legge, infatti, i filtri funzioneranno reindi-
rizzando gli utenti che si volevano collegare ad uno dei siti vietati,
su una pagina dei monopoli di stato che potrà così registrare “‘dati
esterni’e modalità di comportamento da girare poi alla Guardia di fi-
nanza per gli ‘accertamenti’ di rito”. Una modalità che, denuncia sem-
pre Alcei, si potrebbe applicare in futuro in altre circostanze e rom-
pe con il principio dello stato di diritto per il quale “ciascuno deve
rispondere di quello che fa” e l’attività investigativa non può esten-
dersi in questo modo utilizzando, di fatto, strumenti di schedatura
preventiva di massa.
(marzo 2006)
Due nuove leggi a fine legislatura hanno dato un ulteriore giro di vi-
te ai diritti nella rete. L’accusa arriva da ALCEI, la storica “Asso-
ciazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva”,
che si occupa in Italia di diritti telematici (www.alcei.org). La pri-
ma legge è la modifica della 269/98 approvata il 23 gennaio dal titolo
“Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet”. Un legge che
Alcei già contestava per le “inaccettabili estensioni dei poteri di
polizia” e che ora presenta due discutibili novità. La prima è l’arti-
colo 4 che introduce il reato di “pornografia virtuale” con una defi-
nizione che per Alcei “si presta a interpretazioni strumentali e dis-
crezionali che vanno a incidere addirittura sul condizionamento del
pensiero“. La seconda, con l’articolo 14 Bis, è l’introduzione di un
“Centro nazionale, contrasto della pedopornografia sulla rete Inter-
net” che funzionerà da collettore delle segnalazioni di siti incrimi-
nati, nonché di gestori e beneficiari di pagamenti collegati a questi
reati. Un vero e proprio “Moloch che al di fuori di ogni controllo
della magistratura esegue attività di indagine”. Non solo, la legge
obbliga i provider, ovvero quelle imprese che offrono servizi e la pos-
sibilità di collegarsi ad Internet, a segnalare a questo centro sogget-
ti o imprese che siano sospettabili di diffondere materiali di questo
tipo, conservarne copia per 45 giorni ed applicare filtri decisi dal
ministero. In caso di mancanza rispetto a questi obblighi verrebbero
applicate delle multe. Una situazione che per Alcei nel nome di una
“finta tutela dei minori, come per l’abusato pretesto della lotta al
terrorismo”, in realtà introduce norme e principi che poi sono facil-
mnete estendibili “anche ad altri ambiti variamente repressivi e liber-
ticidi, come il diritto d’autore, la manifestazione di opinioni scomo-
de o la lotta politica - con le conseguenze che è facile immaginare”.
Una denuncia che vale anche per gli altri dispositivi di legge conte-
stati, ovvero gli articoli 535, 536 e 537 dell’ultima finanziaria, nei
quali il governo ha dettato all’internet italiana “le regole per impe-
dire che gli utenti possano collegarsi ad una lista nera di siti”. In
questo caso si tratta di siti che offrono giochi e scommesse online ma
che di fatto introduce “un altro provvedimento normativo di schedatura
e controllo generalizzato, questa volta con la scusa del gioco d’azzar-
do” . Su disposizione di legge, infatti, i filtri funzioneranno reindi-
rizzando gli utenti che si volevano collegare ad uno dei siti vietati,
su una pagina dei monopoli di stato che potrà così registrare “‘dati
esterni’e modalità di comportamento da girare poi alla Guardia di fi-
nanza per gli ‘accertamenti’ di rito”. Una modalità che, denuncia sem-
pre Alcei, si potrebbe applicare in futuro in altre circostanze e rom-
pe con il principio dello stato di diritto per il quale “ciascuno deve
rispondere di quello che fa” e l’attività investigativa non può esten-
dersi in questo modo utilizzando, di fatto, strumenti di schedatura
preventiva di massa.
Cassandra
http://www.alcei.it/?p=22
Cassandra
di Giancarlo Livraghi
È proprio vero che possiamo stare tranquilli?
Piccolo catalogo di chi non ha voglia di lasciarci in pace
di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it - 1996- 1997
C’è una diffusa percezione, fra chi usa le reti telematiche, che tutto sommato non ci siano motivi di preoccupazione. La rete è libera, anarchica, caotica, complessa, nessuno riuscirà a dominarla o a restringerne la libertà
Le iniziative di censura basate sulla "pornografia" o sulla "pedofilia" sono talmente ridicole che moriranno da sole. I vari dispositivi di "filtro" non funzioneranno mai, e comunque possiamo vivere benissimo anche se ci tolgono l’accesso a qualche sito di "sesso spinto".
Il decency act americano è già stato dichiarato incostituzionale, il resto del mondo dovrà trarne le debite conseguenze.
Ci sono ancora casi di abusi e sequestri, ma sono meno frequenti; non ci sono più state "ondate" come il crackdown americano del 1990 o quello italiano del 1994.
Le varie ipotesi di norme o leggi repressive, di appesantimenti burocratici, di strangolamento amministrativo della telematica indipendente, finora non si sono trasformate in realtà; o meglio, leggi potenzialmente pericolose ci sono, ma nessuno le ha applicate, finora, in modo distruttivo.
Gli scandali sugli hacker si risolvono in bolle di sapone.
Il monopolio Telecom, presto o tardi, finirà. La Microsoft non riuscirà a impadronirsi della rete; e anche se ci riuscisse non potrebbe toglierci la libertà.
Insomma: tutto va bene, madama la Marchesa?
Prima di proseguire, vorrei parlare di Cassandra.
È passata alla storia (o alla leggenda) come una strega, una fattucchiera, l’uccello del malaugurio.
Era solo una ragazza intelligente che disse "per favore, prima di tirarci in casa un regalo di quei furbastri degli Achei, perché non proviamo a vedere che sorpresa c’è dentro?" Non la ascoltarono; e poi diedero la colpa a lei.
Ci provò anche Laocoonte, ma lo ammazzarono subito e dissero che erano stati gli Dei. Cassandra in quel momento fu risparmiata (anche perché era figlia del re); ma poi finì prigioniera ad Argo, disse di nuovo qualche verità scomoda e fu assassinata da Clitennestra.
Mi è capitato varie volte nella vita di trovarmi nel ruolo di Cassandra, oppure in quello del troiano stupido.
Ci vanno sempre di mezzo tutti e due; quindi spero proprio, questa volta, di non essere né l’una, né l’altro.
Ma ci sono molti motivi per non stare tranquilli. Timeo Danaos, et dona ferentes.
È vero, per fortuna, che il famigerato decency act negli Stati Uniti è stato dichiarato incostituzionale. Ma la partita non è chiusa. Ci sono ancora tentativi di imbrigliare la rete, con vari pretesti; e c’è chi da Washington briga a Bruxelles, per creare un "esempio" che possa essere re-importato. E ci sono, in America come in Europa, ricorrenti proposte di censura e controllo, compresa una recente ñ basata sul vecchio pretesto "terrorismo e bombe".
È vero che in solenni dichiarazioni l’Unione Europea ha promesso di proteggere e favorire la libertà della rete. Ma perfino nelle pieghe della Dichiarazione di Bonn si nascondono punti ambigui in fatto di libertà; e certe pressioni per una presunta "autoregolamentazione" (che non è affatto "auto", ma imposta dalle autorità politiche e amministrative, con la complicità di chi vuole compiacerle) nascondono trucchi pericolosi.
Siamo attenti ai "filtri", alle premurose "tate elettroniche" che vogliono proteggerci dalle possibili infezioni di una troppo libera navigazione nella pullulante biologia della rete. Se ognuno fosse libero di scegliere il software "protettivo" che vuole, secondo la sua cultura e le sue esigenze, sarebbero innocui (o quasi). Ma se (come si propone) saranno decisi da qualche "superiore autorità" e imposti tramite i provider, dalla "tutela degli indifesi" alla repressione di opinioni sgradite… il passo è breve.
È vero, infine, che non viviamo in uno di quei paesi (che sono tanti, e non tutti lontani) in cui per il solo fatto di collegarsi alla rete si rischia la galera, o peggio; e che una persona tecnicamente esperta potrà sempre trovare il modo per "bucare" i controlli, magari collegandosi dalla Moldavia con un’identità marziana. Ma non mi sembra ragionevole che la libertà nella rete sia il privilegio di pochi hacker (nel senso originario della parola) e che la stragrande maggioranza dell’umanità sia ricondotta all’ovile dell’informazione controllata e condizionata.
Proviamo a chiederci: chi ha voglia di reprimere?
Per cominciare: tutti i partiti politici, nessuno escluso, perché vedono male uno scambio di opinioni fuori dai canali noti e controllabili (e forse non hanno capito che nessuna forma di "democrazia elettronica" potrà mai sostituire la struttura necessaria della delega, che semmai è minata dalla meccanica superficiale del "comizio televisivo").
Non è il caso di fidarsi di chi parla di aiutarci o proteggerci. Grazie, no: non abbiamo alcun bisogno della loro protezione.
La tendenza di tutti i Poteri, e in particolare di quello politico, è trattare i cittadini come bambini sbrodoloni incapaci di gestirsi da soli.
Il rischio è che con la scusa di metterci il bavaglino finiscano col metterci il bavaglio.
E non si tratta solo dei Partiti… ho avuto modo di constatare che anche i Sindacati, nonostante alcuni interessanti tentativi di apertura, sono frenati da correnti interne incapaci di capire i valori della flessibilità e del telelavoro o di uscire dal tradizionale verticismo "tayloristico", impreparate a capire concretamente che cosa voglia dire mettere la telematica al servizio dei cittadini.
Poi… gli apparati e la burocrazia, perché non sopportano qualcosa che non sia assoggettato ai loro moduli, timbri, controlli, inghippi e vessazioni (compreso il baraccone di pseudo-garanzia nato dalla mal concepita legge sulla privacy , che può facilmente trasformarsi in uno strumento di repressione burocratica).
È vero che si parla di riforma dell’Amministrazione, di burocrazia al servizio dei cittadini e non viceversa; è vero che ci sono esempi positivi, come alcune Camere di Commercio e alcune amministrazioni locali; ma in generale, anche se queste "buone intenzioni" si realizzeranno, ci vorranno parecchi anni. Intanto rimane il pericolo che i peggiori comportamenti della burocrazia vengano a rendere la vita difficile non solo ai gestori di servizi in rete (specialmente i più piccoli e indipendenti) ma anche a tutti gli utenti.
C’è anche chi "vende sicurezza" , e ha tutto il diritto di fare il suo lavoro, ma spesso esagera nella diffusione di percezioni ossessive e terrificanti.
Credo che sia ovvio a tutti il livello di disinformazione, di "analfabetismo culturale", che spesso dimostrano ancora i "grandi mezzi" tradizionali (giornali, televisione, eccetera, per non parlare dei libri) quando si occupano della rete.
Proviamo a chiederci perché.
I proprietari di questi mezzi tradizionali temono che ci sia informazione fuori dal loro controllo e che il loro potere si indebolisca.
Si è scoperto anche che temono (assurdamente) di perdere denaro per la "concorrenza" della rete.
Alcuni di loro (su scala mondiale) stanno cercando di entrare nella rete e di ottenere posizioni di egemonia. Molti altri sanno che non riusciranno a farlo. I primi, se avessero una visione lucida, dovrebbero essere schierati dalla parte della libertà; ma anche a loro costa poco "accontentare" gli spaventati permettendo "lacci e lacciuoli" che poco nuocerebbero ai grandi operatori ma ingabbierebbero i piccoli.
Anche il mondo della "cultura" tradizionale, e tuttora imperante, dà spesso segni di oscurantismo. Molti "intellettuali", temono di perdere i loro privilegi come "maestri del pensare", come "emanatori" di conoscenza e di informazione.
Chi ha vera maestria e cultura non ha nulla da temere, perché anche in un incontro "da pari a pari" con chiunque di noi saprebbe guad
agnarsi il nostro rispetto e affermare la sua meritata autorità. Ma quanti, che imperversano dai talk show alle cattedre universitarie, saprebbero cavarsela davvero se scendessero dai loro scranni privilegiati e si mescolassero al "volgo"?
Provate ad ascoltare le cose che dicono personaggi "autorevoli" di ogni specie, che si erigono a esperti mentre se li si ascolta ci si accorge che non conoscono la differenza fra l’e-mail e un cd-rom.
I giornalisti… alcuni, è vero, conoscono bene la rete, non la temono e ne parlano in modo intelligente. Ma sono ancora una piccola minoranza.
Ricordo di aver partecipato a un convegno di giornalisti, al Circolo della Stampa a Milano, in cui si parlava della rete. Il terrore diffuso era palpabile.
Come sopravvivere in un mondo in cui i miei lettori possono controllare le mie fonti? Perderò il mio privilegio di "mediatore" dell’informazione? Dovrò ri-imparare daccapo il mio mestiere? Spero di svegliarmi domattina e scoprire che era solo un incubo.
Quei giornalisti che hanno capito, e quelli che capiranno, potranno non solo continuare a fare il loro mestiere, ma farlo molto meglio. Ma sono ancora molti quelli che hanno paura.
L’Unione Europea (nonostante le sue "dichiarazioni" in senso contrario) sta lavorando su una pazzesca congerie di norme, regole, controlli e censure.
Conosciamo almeno alcuni dei campi in cui intendono agire, dal controllo dei pagamenti tramite la rete (come se non fosse un problema già risolto) alla difesa del copyright (leggi interessi dei grossi produttori di software) alla lotta contro il "terrorismo in rete" (che sappiamo non essere un problema reale) alla "pornografia" (che abbiamo visto essere un pretesto per la c
ensura) alla difesa della privacy dei dati… quest’ultima una tesi sacrosanta, ma già abbiamo visto come sotto quella giusta bandiera si infilino meccanismi di burocratizzazione repressiva. Eccetera…
Ogni tanto si parla di "interessi economici". Secondo me è sbagliato pensare che tutti gli interessi economici e commerciali siano "nemici" della rete. Ci possono essere business che aiutano e sostengono la libertà della rete invece di ostacolarla.
Ma i "nemici" ci sono, e possono essere pericolosi. Alcuni grandi interessi economici (non tutti) temono di vedere il mercato aprirsi a piccoli operatori e temono di perdere le leve di controllo privilegiato che hanno attraverso i grandi canali di distribuzione, promozione e comunicazione.
Ho sentito "portavoce" di questi interessi dichiarare pubblicamente che la rete va imbrigliata, regolata, irreggimentata, prima che dia spazio (temibile ipotesi) a piccoli operatori che possano competere alla pari coi grandi, magari offrendo gli stessi prodotti a prezzi più bassi o con un servizio migliore.
Uno di loro, due anni fa, disse sogghignando "tanto entro sei mesi internet collasserà, e avrete bisogno di noi per rimetterla in piedi". Per fortuna, almeno finora, i fatti gli hanno dato torto. Se la rete ogni tanto si ingorga, non è certo per l’aumento della sua diffusione, ma per la congestione prodotta da un sovraccarico di cose inutili, come un eccesso di immagini e di animazioni. A salvarla potrà essere solo un progressivo ritorno di buon senso, sotto la pressione di chi della rete ha bisogno; comprese quelle grandi imprese che oggi la snobbano o la temono, ma presto o tardi ne scopriranno l’utilità.
Ci sono altri fenomeni che possono sembrare bizzarri ma non sono da sottovalutare.
Per esempio, i "vettori" tradizionali di informazioni e beni hanno tentato, in vari paesi, di far tassare la rete per renderla meno competitiva. Finora non ci sono riusciti, ma non è detto che non ci riprovino.
E poi… ci sono i "normomani".
Una certa specie di giuristi e legislatori, che in un paese già afflitto da 100.000 leggi più di quante ne servono vogliono continuamente accrescere l’intrico indecifrabile di leggi e norme (e carrozzoni vari che con la scusa di "controllare" fabbricano solo privilegi e corruzione) per un loro esclusivo quanto perverso interesse. Sono già riusciti a produrre alcune mostruosità giuridiche e temo che non abbiano finito.
Parte spesso da costoro il concetto di una società in pericolo, di una rete affollata di hacker e pirati, o peggio ancora (che cosa terribile!) di opinioni liberamente diffuse che danno voce anche alle minoranze, al dissenso, o comunque a quel "profano volgo" cui finora era solo consentito di inchinarsi tremante davanti al potere di chi tiene le chiavi della Legge (e dell’informazione).
Stiamo attenti… in tutto il mondo, ma specialmente in Italia, ci sono moltissime leggi che enunciano un principio e prescrivono tutt’altro. Come se la legge per la difesa dei bambini e dei deboli all’articolo 47/bis contenesse oscuri riferimenti che, una volta decodificati, prescrivono quante frustate deve ricevere un disobbediente. (Avevo scritto questo esempio, un anno fa, pensando che fosse del tutto immaginario; ma se guardiamo certe norme proposte per la "tutela dei minori" ci accorgiamo che la realtà supera la fantasia).
Ci sono anche, naturalmente, i grandi produttori di software, che furono gli ispiratori del demenziale crackdown del 1994 in Italia. Ma pare che abbiano capito l’inutilità di quelle operazioni intimidatorie, che alla fine si rivolgono a loro danno, e quindi oggi siano un po’ meno pericolosi, almeno per quanto riguarda sequestri e persecuzioni poliziesche; ma non sono certo finiti i loro tentativi di monopolizzare la rete e controllarne anche i contenuti.
Molti grandi ope
ratori stanno cercando di trasformare la rete in un grande spettacolo, una specie di Hollywood o Disneyland, piena di orpelli e scarsa di informazioni. Questo riporterebbe la rete, o parte di essa, a una brutta copia dei mezzi tradizionali, con tanti saluti all’interattività e al libero scambio di opinioni. Con un grande abuso di paroline di moda, come "multimediale" o "virtuale" o ciberchissàche, ci stanno rifilando cultura vecchia con un vestitino nuovo, spesso abbastanza goffo.
Trovo francamente insopportabili trasmissioni televisive, film dell’orrore o del "fumettismo" di basso livello fantascientifico, e tante altre forme di pseudocultura e culto dell’apparenza, che infestano giornali, riviste e libri, allontanando la percezione dai valori reali, umani, civili, sociali della rete.
E anche tutto questo straparlare di "Internet" (inteso come un repertorio di testi e immagini da "esplorare" con un browser) quando una realtà portante del sistema sono, e soprattutto saranno, le comunità umane in tutte le loro forme, compresi i BBS e i community network .
Stranamente quelle che temo meno (spero di non sbagliarmi) sono le "Forze dell’Ordine", perché è "di pubblico dominio" che la Polizia ha la rete sotto controllo da anni, la conosce benissimo e non la teme; quindi non ha alcun interesse a "reprimerla" se non riceve qualche direttiva pilotata da altri interessi. O almeno così credevo. Ma ora si sta scatenando una specie di "gara" fra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, con una tendenza a vedere o inventare pericoli un po’ dovunque per dimostrare la propria capacità nella scoperta e repressione di "crimini" così moderni, affascinanti e incomprensibili a gran parte dell’opinione pubblica e delle "autorità costituite".
E, anche qui, ci sono pressioni internazionali; compresi sistemi già funzionanti (ma di cui si parla poco) capaci non solo di intercettare le comunicazioni in rete senza bisogno di alcuna autorizzazione della magistratura, ma anche di pilotare le intercettazioni in base ai contenuti. Sarebbe veramente stupido un criminale, un terrorista o una spia che usasse per i suoi maneggi un mezzo così facilmente controllabile dalle polizie e dai servizi segreti di mezzo mondo; che fanno tutto il possibile per bloccare l’uso della crittografia, non perché se ne servano i criminali (che hanno altri metodi per non farsi intercettare) ma perché potrebbe ostacolare la &quo
t;sorveglianza" su cittadini incensurati e insospettabili.
Per quanto riguarda l’opinione pubblica, non facciamoci illusioni. Con la disinformazione che c’è in giro, la maggior parte dei cittadini potrebbe vedere di buon occhio qualche "controllo" su questa misteriosa macchina divoratrice di cervelli che manda in paranoia i bambini e diffonde pornografia, pedofilia, anomalia, pirateria, indisciplina, criminalità, disumanizzazione, alienazione, ossessione, e chissà quali diavolerie tecnologico-fantascientifiche.
Forse nessuna di queste "forze ostili", da sola, è in grado di limitare davvero la libertà delle reti, così molteplici e proteiformi; e anche (speriamo) difese da interessi più lungimiranti, che della loro autonomia capiscono il valore e il potenziale.
Ma le varie spinte repressive possono allearsi e combinarsi, anche in modi imprevedibili. E possono trovare un "collante" nella più spaventosa forza distruttiva che sia mai esistita: lo smisurato potere della stupidità umana.
In conclusione… è meglio stare in guardia. La strada per arrivare a un’autentica cultura e libertà delle reti (al plurale: più sono, meglio stiamo) è ancora lunga e piena di ostacoli.
Per altri scritti sullo stesso argomento:
http://gandalf.it/free/
Cassandra
di Giancarlo Livraghi
È proprio vero che possiamo stare tranquilli?
Piccolo catalogo di chi non ha voglia di lasciarci in pace
di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it - 1996- 1997
C’è una diffusa percezione, fra chi usa le reti telematiche, che tutto sommato non ci siano motivi di preoccupazione. La rete è libera, anarchica, caotica, complessa, nessuno riuscirà a dominarla o a restringerne la libertà
Le iniziative di censura basate sulla "pornografia" o sulla "pedofilia" sono talmente ridicole che moriranno da sole. I vari dispositivi di "filtro" non funzioneranno mai, e comunque possiamo vivere benissimo anche se ci tolgono l’accesso a qualche sito di "sesso spinto".
Il decency act americano è già stato dichiarato incostituzionale, il resto del mondo dovrà trarne le debite conseguenze.
Ci sono ancora casi di abusi e sequestri, ma sono meno frequenti; non ci sono più state "ondate" come il crackdown americano del 1990 o quello italiano del 1994.
Le varie ipotesi di norme o leggi repressive, di appesantimenti burocratici, di strangolamento amministrativo della telematica indipendente, finora non si sono trasformate in realtà; o meglio, leggi potenzialmente pericolose ci sono, ma nessuno le ha applicate, finora, in modo distruttivo.
Gli scandali sugli hacker si risolvono in bolle di sapone.
Il monopolio Telecom, presto o tardi, finirà. La Microsoft non riuscirà a impadronirsi della rete; e anche se ci riuscisse non potrebbe toglierci la libertà.
Insomma: tutto va bene, madama la Marchesa?
Prima di proseguire, vorrei parlare di Cassandra.
È passata alla storia (o alla leggenda) come una strega, una fattucchiera, l’uccello del malaugurio.
Era solo una ragazza intelligente che disse "per favore, prima di tirarci in casa un regalo di quei furbastri degli Achei, perché non proviamo a vedere che sorpresa c’è dentro?" Non la ascoltarono; e poi diedero la colpa a lei.
Ci provò anche Laocoonte, ma lo ammazzarono subito e dissero che erano stati gli Dei. Cassandra in quel momento fu risparmiata (anche perché era figlia del re); ma poi finì prigioniera ad Argo, disse di nuovo qualche verità scomoda e fu assassinata da Clitennestra.
Mi è capitato varie volte nella vita di trovarmi nel ruolo di Cassandra, oppure in quello del troiano stupido.
Ci vanno sempre di mezzo tutti e due; quindi spero proprio, questa volta, di non essere né l’una, né l’altro.
Ma ci sono molti motivi per non stare tranquilli. Timeo Danaos, et dona ferentes.
È vero, per fortuna, che il famigerato decency act negli Stati Uniti è stato dichiarato incostituzionale. Ma la partita non è chiusa. Ci sono ancora tentativi di imbrigliare la rete, con vari pretesti; e c’è chi da Washington briga a Bruxelles, per creare un "esempio" che possa essere re-importato. E ci sono, in America come in Europa, ricorrenti proposte di censura e controllo, compresa una recente ñ basata sul vecchio pretesto "terrorismo e bombe".
È vero che in solenni dichiarazioni l’Unione Europea ha promesso di proteggere e favorire la libertà della rete. Ma perfino nelle pieghe della Dichiarazione di Bonn si nascondono punti ambigui in fatto di libertà; e certe pressioni per una presunta "autoregolamentazione" (che non è affatto "auto", ma imposta dalle autorità politiche e amministrative, con la complicità di chi vuole compiacerle) nascondono trucchi pericolosi.
Siamo attenti ai "filtri", alle premurose "tate elettroniche" che vogliono proteggerci dalle possibili infezioni di una troppo libera navigazione nella pullulante biologia della rete. Se ognuno fosse libero di scegliere il software "protettivo" che vuole, secondo la sua cultura e le sue esigenze, sarebbero innocui (o quasi). Ma se (come si propone) saranno decisi da qualche "superiore autorità" e imposti tramite i provider, dalla "tutela degli indifesi" alla repressione di opinioni sgradite… il passo è breve.
È vero, infine, che non viviamo in uno di quei paesi (che sono tanti, e non tutti lontani) in cui per il solo fatto di collegarsi alla rete si rischia la galera, o peggio; e che una persona tecnicamente esperta potrà sempre trovare il modo per "bucare" i controlli, magari collegandosi dalla Moldavia con un’identità marziana. Ma non mi sembra ragionevole che la libertà nella rete sia il privilegio di pochi hacker (nel senso originario della parola) e che la stragrande maggioranza dell’umanità sia ricondotta all’ovile dell’informazione controllata e condizionata.
Proviamo a chiederci: chi ha voglia di reprimere?
Per cominciare: tutti i partiti politici, nessuno escluso, perché vedono male uno scambio di opinioni fuori dai canali noti e controllabili (e forse non hanno capito che nessuna forma di "democrazia elettronica" potrà mai sostituire la struttura necessaria della delega, che semmai è minata dalla meccanica superficiale del "comizio televisivo").
Non è il caso di fidarsi di chi parla di aiutarci o proteggerci. Grazie, no: non abbiamo alcun bisogno della loro protezione.
La tendenza di tutti i Poteri, e in particolare di quello politico, è trattare i cittadini come bambini sbrodoloni incapaci di gestirsi da soli.
Il rischio è che con la scusa di metterci il bavaglino finiscano col metterci il bavaglio.
E non si tratta solo dei Partiti… ho avuto modo di constatare che anche i Sindacati, nonostante alcuni interessanti tentativi di apertura, sono frenati da correnti interne incapaci di capire i valori della flessibilità e del telelavoro o di uscire dal tradizionale verticismo "tayloristico", impreparate a capire concretamente che cosa voglia dire mettere la telematica al servizio dei cittadini.
Poi… gli apparati e la burocrazia, perché non sopportano qualcosa che non sia assoggettato ai loro moduli, timbri, controlli, inghippi e vessazioni (compreso il baraccone di pseudo-garanzia nato dalla mal concepita legge sulla privacy , che può facilmente trasformarsi in uno strumento di repressione burocratica).
È vero che si parla di riforma dell’Amministrazione, di burocrazia al servizio dei cittadini e non viceversa; è vero che ci sono esempi positivi, come alcune Camere di Commercio e alcune amministrazioni locali; ma in generale, anche se queste "buone intenzioni" si realizzeranno, ci vorranno parecchi anni. Intanto rimane il pericolo che i peggiori comportamenti della burocrazia vengano a rendere la vita difficile non solo ai gestori di servizi in rete (specialmente i più piccoli e indipendenti) ma anche a tutti gli utenti.
C’è anche chi "vende sicurezza" , e ha tutto il diritto di fare il suo lavoro, ma spesso esagera nella diffusione di percezioni ossessive e terrificanti.
Credo che sia ovvio a tutti il livello di disinformazione, di "analfabetismo culturale", che spesso dimostrano ancora i "grandi mezzi" tradizionali (giornali, televisione, eccetera, per non parlare dei libri) quando si occupano della rete.
Proviamo a chiederci perché.
I proprietari di questi mezzi tradizionali temono che ci sia informazione fuori dal loro controllo e che il loro potere si indebolisca.
Si è scoperto anche che temono (assurdamente) di perdere denaro per la "concorrenza" della rete.
Alcuni di loro (su scala mondiale) stanno cercando di entrare nella rete e di ottenere posizioni di egemonia. Molti altri sanno che non riusciranno a farlo. I primi, se avessero una visione lucida, dovrebbero essere schierati dalla parte della libertà; ma anche a loro costa poco "accontentare" gli spaventati permettendo "lacci e lacciuoli" che poco nuocerebbero ai grandi operatori ma ingabbierebbero i piccoli.
Anche il mondo della "cultura" tradizionale, e tuttora imperante, dà spesso segni di oscurantismo. Molti "intellettuali", temono di perdere i loro privilegi come "maestri del pensare", come "emanatori" di conoscenza e di informazione.
Chi ha vera maestria e cultura non ha nulla da temere, perché anche in un incontro "da pari a pari" con chiunque di noi saprebbe guad
agnarsi il nostro rispetto e affermare la sua meritata autorità. Ma quanti, che imperversano dai talk show alle cattedre universitarie, saprebbero cavarsela davvero se scendessero dai loro scranni privilegiati e si mescolassero al "volgo"?
Provate ad ascoltare le cose che dicono personaggi "autorevoli" di ogni specie, che si erigono a esperti mentre se li si ascolta ci si accorge che non conoscono la differenza fra l’e-mail e un cd-rom.
I giornalisti… alcuni, è vero, conoscono bene la rete, non la temono e ne parlano in modo intelligente. Ma sono ancora una piccola minoranza.
Ricordo di aver partecipato a un convegno di giornalisti, al Circolo della Stampa a Milano, in cui si parlava della rete. Il terrore diffuso era palpabile.
Come sopravvivere in un mondo in cui i miei lettori possono controllare le mie fonti? Perderò il mio privilegio di "mediatore" dell’informazione? Dovrò ri-imparare daccapo il mio mestiere? Spero di svegliarmi domattina e scoprire che era solo un incubo.
Quei giornalisti che hanno capito, e quelli che capiranno, potranno non solo continuare a fare il loro mestiere, ma farlo molto meglio. Ma sono ancora molti quelli che hanno paura.
L’Unione Europea (nonostante le sue "dichiarazioni" in senso contrario) sta lavorando su una pazzesca congerie di norme, regole, controlli e censure.
Conosciamo almeno alcuni dei campi in cui intendono agire, dal controllo dei pagamenti tramite la rete (come se non fosse un problema già risolto) alla difesa del copyright (leggi interessi dei grossi produttori di software) alla lotta contro il "terrorismo in rete" (che sappiamo non essere un problema reale) alla "pornografia" (che abbiamo visto essere un pretesto per la c
ensura) alla difesa della privacy dei dati… quest’ultima una tesi sacrosanta, ma già abbiamo visto come sotto quella giusta bandiera si infilino meccanismi di burocratizzazione repressiva. Eccetera…
Ogni tanto si parla di "interessi economici". Secondo me è sbagliato pensare che tutti gli interessi economici e commerciali siano "nemici" della rete. Ci possono essere business che aiutano e sostengono la libertà della rete invece di ostacolarla.
Ma i "nemici" ci sono, e possono essere pericolosi. Alcuni grandi interessi economici (non tutti) temono di vedere il mercato aprirsi a piccoli operatori e temono di perdere le leve di controllo privilegiato che hanno attraverso i grandi canali di distribuzione, promozione e comunicazione.
Ho sentito "portavoce" di questi interessi dichiarare pubblicamente che la rete va imbrigliata, regolata, irreggimentata, prima che dia spazio (temibile ipotesi) a piccoli operatori che possano competere alla pari coi grandi, magari offrendo gli stessi prodotti a prezzi più bassi o con un servizio migliore.
Uno di loro, due anni fa, disse sogghignando "tanto entro sei mesi internet collasserà, e avrete bisogno di noi per rimetterla in piedi". Per fortuna, almeno finora, i fatti gli hanno dato torto. Se la rete ogni tanto si ingorga, non è certo per l’aumento della sua diffusione, ma per la congestione prodotta da un sovraccarico di cose inutili, come un eccesso di immagini e di animazioni. A salvarla potrà essere solo un progressivo ritorno di buon senso, sotto la pressione di chi della rete ha bisogno; comprese quelle grandi imprese che oggi la snobbano o la temono, ma presto o tardi ne scopriranno l’utilità.
Ci sono altri fenomeni che possono sembrare bizzarri ma non sono da sottovalutare.
Per esempio, i "vettori" tradizionali di informazioni e beni hanno tentato, in vari paesi, di far tassare la rete per renderla meno competitiva. Finora non ci sono riusciti, ma non è detto che non ci riprovino.
E poi… ci sono i "normomani".
Una certa specie di giuristi e legislatori, che in un paese già afflitto da 100.000 leggi più di quante ne servono vogliono continuamente accrescere l’intrico indecifrabile di leggi e norme (e carrozzoni vari che con la scusa di "controllare" fabbricano solo privilegi e corruzione) per un loro esclusivo quanto perverso interesse. Sono già riusciti a produrre alcune mostruosità giuridiche e temo che non abbiano finito.
Parte spesso da costoro il concetto di una società in pericolo, di una rete affollata di hacker e pirati, o peggio ancora (che cosa terribile!) di opinioni liberamente diffuse che danno voce anche alle minoranze, al dissenso, o comunque a quel "profano volgo" cui finora era solo consentito di inchinarsi tremante davanti al potere di chi tiene le chiavi della Legge (e dell’informazione).
Stiamo attenti… in tutto il mondo, ma specialmente in Italia, ci sono moltissime leggi che enunciano un principio e prescrivono tutt’altro. Come se la legge per la difesa dei bambini e dei deboli all’articolo 47/bis contenesse oscuri riferimenti che, una volta decodificati, prescrivono quante frustate deve ricevere un disobbediente. (Avevo scritto questo esempio, un anno fa, pensando che fosse del tutto immaginario; ma se guardiamo certe norme proposte per la "tutela dei minori" ci accorgiamo che la realtà supera la fantasia).
Ci sono anche, naturalmente, i grandi produttori di software, che furono gli ispiratori del demenziale crackdown del 1994 in Italia. Ma pare che abbiano capito l’inutilità di quelle operazioni intimidatorie, che alla fine si rivolgono a loro danno, e quindi oggi siano un po’ meno pericolosi, almeno per quanto riguarda sequestri e persecuzioni poliziesche; ma non sono certo finiti i loro tentativi di monopolizzare la rete e controllarne anche i contenuti.
Molti grandi ope
ratori stanno cercando di trasformare la rete in un grande spettacolo, una specie di Hollywood o Disneyland, piena di orpelli e scarsa di informazioni. Questo riporterebbe la rete, o parte di essa, a una brutta copia dei mezzi tradizionali, con tanti saluti all’interattività e al libero scambio di opinioni. Con un grande abuso di paroline di moda, come "multimediale" o "virtuale" o ciberchissàche, ci stanno rifilando cultura vecchia con un vestitino nuovo, spesso abbastanza goffo.
Trovo francamente insopportabili trasmissioni televisive, film dell’orrore o del "fumettismo" di basso livello fantascientifico, e tante altre forme di pseudocultura e culto dell’apparenza, che infestano giornali, riviste e libri, allontanando la percezione dai valori reali, umani, civili, sociali della rete.
E anche tutto questo straparlare di "Internet" (inteso come un repertorio di testi e immagini da "esplorare" con un browser) quando una realtà portante del sistema sono, e soprattutto saranno, le comunità umane in tutte le loro forme, compresi i BBS e i community network .
Stranamente quelle che temo meno (spero di non sbagliarmi) sono le "Forze dell’Ordine", perché è "di pubblico dominio" che la Polizia ha la rete sotto controllo da anni, la conosce benissimo e non la teme; quindi non ha alcun interesse a "reprimerla" se non riceve qualche direttiva pilotata da altri interessi. O almeno così credevo. Ma ora si sta scatenando una specie di "gara" fra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, con una tendenza a vedere o inventare pericoli un po’ dovunque per dimostrare la propria capacità nella scoperta e repressione di "crimini" così moderni, affascinanti e incomprensibili a gran parte dell’opinione pubblica e delle "autorità costituite".
E, anche qui, ci sono pressioni internazionali; compresi sistemi già funzionanti (ma di cui si parla poco) capaci non solo di intercettare le comunicazioni in rete senza bisogno di alcuna autorizzazione della magistratura, ma anche di pilotare le intercettazioni in base ai contenuti. Sarebbe veramente stupido un criminale, un terrorista o una spia che usasse per i suoi maneggi un mezzo così facilmente controllabile dalle polizie e dai servizi segreti di mezzo mondo; che fanno tutto il possibile per bloccare l’uso della crittografia, non perché se ne servano i criminali (che hanno altri metodi per non farsi intercettare) ma perché potrebbe ostacolare la &quo
t;sorveglianza" su cittadini incensurati e insospettabili.
Per quanto riguarda l’opinione pubblica, non facciamoci illusioni. Con la disinformazione che c’è in giro, la maggior parte dei cittadini potrebbe vedere di buon occhio qualche "controllo" su questa misteriosa macchina divoratrice di cervelli che manda in paranoia i bambini e diffonde pornografia, pedofilia, anomalia, pirateria, indisciplina, criminalità, disumanizzazione, alienazione, ossessione, e chissà quali diavolerie tecnologico-fantascientifiche.
Forse nessuna di queste "forze ostili", da sola, è in grado di limitare davvero la libertà delle reti, così molteplici e proteiformi; e anche (speriamo) difese da interessi più lungimiranti, che della loro autonomia capiscono il valore e il potenziale.
Ma le varie spinte repressive possono allearsi e combinarsi, anche in modi imprevedibili. E possono trovare un "collante" nella più spaventosa forza distruttiva che sia mai esistita: lo smisurato potere della stupidità umana.
In conclusione… è meglio stare in guardia. La strada per arrivare a un’autentica cultura e libertà delle reti (al plurale: più sono, meglio stiamo) è ancora lunga e piena di ostacoli.
Per altri scritti sullo stesso argomento:
http://gandalf.it/free/
Isterismo in Gran Bretagna minaccia la libertà di parola in rete
http://www.nexus.it/alcei/ita/iniziati/alert02.htm
Isterismo in Gran Bretagna minaccia
la libertà di parola in rete
Nel numero del 25 agosto del settimanale "Observer" è apparso, con titolo in prima pagina, un servizio senzazionalistico sulla pornografia infantile nell'Internet, in cui si accusavano falsamente due Internet Service Provider, Clive Feather di Demon UK (un provider a servizio completo) e Johan Helsingius dell'anon.penet.fi (un "anonymous remailer") di essere coinvolti nella distribuzione di materiale pornografico. Perché queste accuse? Demon UK aveva rifiutato di eliminare una serie di newsgroup di argomento sessuale, che erano stati identificati dalle autorità britanniche come possibili fonti di pornografia infantile; anon.penet.fi era stata identificata, senza alcuna prova di tale arbitraria affermazione, come una fonte del "90% della pornografia infantile nell'internet".
In realtà Demon UK semplicemente accettava il fatto che gli Internet Service Provider (ISP) non possono controllare i dati che attraversano i loro sistemi, o assumere la responsabilità del loro contenuto, più di quanto il servizio postale possa essere responsabile di ciò che viene spedito con la posta tradizionale.
E Helsingius, contrariamente a ciò che affermava l'Observer, da molto tempo aveva limitato la dimensione dei file che si potevano trasmettere attraverso anon.penet.fi, così eliminando la possibilità che si potessero scambiare file binari contenenti immagini.
Questo caso è estremo, ma non mancano i precedenti: molto è stato scritto tentando di associare l'Internet con coloro che producono e distribuiscono pornografia infantile, e ci sono stati molti tentativi di considerare gli ISP responsabili per contenuti criticabili o illegali.
Gli ISP non sono fornitori di contenuti; trasmettono contenuti forniti dai loro utenti. È estraneo al ruolo del provider verificare, controllare o tentare di togliere contenuti che possono suscitare obiezioni. Il fatto è che ogni tentativo da parte di un ISP di bloccare un particolare tipo di contenuti sarebbe alla fine inutile, perché i fornitori di quei contenuti troverebbero semplicemente altri canali di distribuzione.
Inoltre, è un errore pensare che l'Internet non abbia regole, e sia favorevole allo scambio di materiali inopportuni. Il fatto è che l'Internet è una "comunità virtuale" di utenti con una propria cultura, che comprende molte opinioni diverse ma trova consenso in una forte opposizione allo sfruttamento dei bambini; infatti molti utenti Internet hanno collaborato ad attività intese a identificare chi produce e distribuisce pornografia infantile.
Sommario:
La violenza contro i bambini, e il loro sfruttamento, sono problemi reali che richiedono una risposta attiva; ma rifiutiamo energicamente ogni tentativo di limitare il libero e aperto scambio di informazioni nell'Internet nella falsa convinzione che restrizioni del flusso di informazioni possano proteggere i bambini contro gli abusi. Appoggiamo Demon UK ed anon.penet.fi (che Helsingius ha chiuso), e deploriamo il tentativo diffamatorio dell'Observer di far apparire rispettabili provider Internet come la "causa" di un problema del quale non hanno alcuna responsabilità.
Il servizio dell'Observer non è il primo del suo genere: è un esempio di una continua confusione di idee su un nuovo e complesso mezzo di comunicazione. Purtroppo questo malinteso è divenuto un problema mondiale, rappresentato da norme restrittive attuate o proposte, oltre che da informazioni errate diffuse dalla stampa.
L'Internet può essere definito con queste analogie:
* L'Internet è un vasto sistema di corrispondenza, come un servizio postale.
Sareste in favore di una legge che obbligasse le autorità postali ad aprire ogni busta e controllare l'accettabilità del contenuto?
* L'Internet è un'immensa biblioteca.
Sareste in favore di una legge che limiti le informazioni fornite dalle biblioteche?
* L'Internet è formata da un gran numero di comunità virtuali.
Sareste in favore di una legge che ordinasse sistematiche perquisizioni nella vostra comunità?
La nostra posizione:
Misure come queste legherebbero le mani a tutti per i misfatti di pochi. È molto più ragionevole identificare e affrontare le fonti della pornografia infantile che impedire il flusso di dati nell'Internet. L'imposizione di censure e di ulteriori restrizioni agli ISP non risolverebbe il problema esistente, ma creerebbe un nuovo problema, una barriera al libero e democratico scambio di idee.
Per contatti stampa, e per ulteriori informazioni sull'Internet, vedi le homepage delle organizzazioni che firmano questo messaggio:
ALCEI - Electronic Frontiers Italy
* http://www.nexus.it/alcei
American Civil Liberties Union (ACLU)
* http://www.aclu.org/
CITADEL-Electronic Frontier France
* http://www.imaginet.fr/~mose/citadel/
CommUnity (UK)
* http://www.community.org.uk/
EFF (USA)
* http://www.eff.org/
EFF-Austin (USA)
* http://www.eff-austin.org/
Electronic Frontier Canada
* http://www.efc.ca/
Electronic Frontiers Australia
* http://www.efa.org.au/
Electronic Frontiers Houston (USA)
* http://www.efh.org/
Elektronisk Forpost Norge (Electronic Frontier Norway)
* http://www.sn.no/~efn/
Fronteras Electronicas España (Electronic Frontiers Spain)
* http://www.lander.es/~jlmartin/
HotWired
* http://www.hotwired.com/
Isterismo in Gran Bretagna minaccia
la libertà di parola in rete
Nel numero del 25 agosto del settimanale "Observer" è apparso, con titolo in prima pagina, un servizio senzazionalistico sulla pornografia infantile nell'Internet, in cui si accusavano falsamente due Internet Service Provider, Clive Feather di Demon UK (un provider a servizio completo) e Johan Helsingius dell'anon.penet.fi (un "anonymous remailer") di essere coinvolti nella distribuzione di materiale pornografico. Perché queste accuse? Demon UK aveva rifiutato di eliminare una serie di newsgroup di argomento sessuale, che erano stati identificati dalle autorità britanniche come possibili fonti di pornografia infantile; anon.penet.fi era stata identificata, senza alcuna prova di tale arbitraria affermazione, come una fonte del "90% della pornografia infantile nell'internet".
In realtà Demon UK semplicemente accettava il fatto che gli Internet Service Provider (ISP) non possono controllare i dati che attraversano i loro sistemi, o assumere la responsabilità del loro contenuto, più di quanto il servizio postale possa essere responsabile di ciò che viene spedito con la posta tradizionale.
E Helsingius, contrariamente a ciò che affermava l'Observer, da molto tempo aveva limitato la dimensione dei file che si potevano trasmettere attraverso anon.penet.fi, così eliminando la possibilità che si potessero scambiare file binari contenenti immagini.
Questo caso è estremo, ma non mancano i precedenti: molto è stato scritto tentando di associare l'Internet con coloro che producono e distribuiscono pornografia infantile, e ci sono stati molti tentativi di considerare gli ISP responsabili per contenuti criticabili o illegali.
Gli ISP non sono fornitori di contenuti; trasmettono contenuti forniti dai loro utenti. È estraneo al ruolo del provider verificare, controllare o tentare di togliere contenuti che possono suscitare obiezioni. Il fatto è che ogni tentativo da parte di un ISP di bloccare un particolare tipo di contenuti sarebbe alla fine inutile, perché i fornitori di quei contenuti troverebbero semplicemente altri canali di distribuzione.
Inoltre, è un errore pensare che l'Internet non abbia regole, e sia favorevole allo scambio di materiali inopportuni. Il fatto è che l'Internet è una "comunità virtuale" di utenti con una propria cultura, che comprende molte opinioni diverse ma trova consenso in una forte opposizione allo sfruttamento dei bambini; infatti molti utenti Internet hanno collaborato ad attività intese a identificare chi produce e distribuisce pornografia infantile.
Sommario:
La violenza contro i bambini, e il loro sfruttamento, sono problemi reali che richiedono una risposta attiva; ma rifiutiamo energicamente ogni tentativo di limitare il libero e aperto scambio di informazioni nell'Internet nella falsa convinzione che restrizioni del flusso di informazioni possano proteggere i bambini contro gli abusi. Appoggiamo Demon UK ed anon.penet.fi (che Helsingius ha chiuso), e deploriamo il tentativo diffamatorio dell'Observer di far apparire rispettabili provider Internet come la "causa" di un problema del quale non hanno alcuna responsabilità.
Il servizio dell'Observer non è il primo del suo genere: è un esempio di una continua confusione di idee su un nuovo e complesso mezzo di comunicazione. Purtroppo questo malinteso è divenuto un problema mondiale, rappresentato da norme restrittive attuate o proposte, oltre che da informazioni errate diffuse dalla stampa.
L'Internet può essere definito con queste analogie:
* L'Internet è un vasto sistema di corrispondenza, come un servizio postale.
Sareste in favore di una legge che obbligasse le autorità postali ad aprire ogni busta e controllare l'accettabilità del contenuto?
* L'Internet è un'immensa biblioteca.
Sareste in favore di una legge che limiti le informazioni fornite dalle biblioteche?
* L'Internet è formata da un gran numero di comunità virtuali.
Sareste in favore di una legge che ordinasse sistematiche perquisizioni nella vostra comunità?
La nostra posizione:
Misure come queste legherebbero le mani a tutti per i misfatti di pochi. È molto più ragionevole identificare e affrontare le fonti della pornografia infantile che impedire il flusso di dati nell'Internet. L'imposizione di censure e di ulteriori restrizioni agli ISP non risolverebbe il problema esistente, ma creerebbe un nuovo problema, una barriera al libero e democratico scambio di idee.
Per contatti stampa, e per ulteriori informazioni sull'Internet, vedi le homepage delle organizzazioni che firmano questo messaggio:
ALCEI - Electronic Frontiers Italy
* http://www.nexus.it/alcei
American Civil Liberties Union (ACLU)
* http://www.aclu.org/
CITADEL-Electronic Frontier France
* http://www.imaginet.fr/~mose/citadel/
CommUnity (UK)
* http://www.community.org.uk/
EFF (USA)
* http://www.eff.org/
EFF-Austin (USA)
* http://www.eff-austin.org/
Electronic Frontier Canada
* http://www.efc.ca/
Electronic Frontiers Australia
* http://www.efa.org.au/
Electronic Frontiers Houston (USA)
* http://www.efh.org/
Elektronisk Forpost Norge (Electronic Frontier Norway)
* http://www.sn.no/~efn/
Fronteras Electronicas España (Electronic Frontiers Spain)
* http://www.lander.es/~jlmartin/
HotWired
* http://www.hotwired.com/
A proposito di data retention
http://www.gandalf.it/free/dataret.htm
Ambiguità e pericoli
della prevenzione
Comunicato di ALCEI – 24 gennaio 2004
C’è diffusa preoccupazione per le conseguenze del decreto legge 534 (emanato dal governo italiano il 24 dicembre 2003) che stabilisce, a carico dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, l’obbligo di conservazione fino a cinque anni dei dati di traffico dei servizi telefonici e internet trattati per finalità di fatturazione, ma utilizzabili per ispezione da parte di magistrati inquirenti, forze di polizia o altre funzioni di stato.
Il problema era stato segnalato da ALCEI nel suo comunicato del 23 dicembre 2003 La conservazione indiscriminata del traffico internet non serve ad arrestare i criminali e minaccia la libertà di imprese e cittadini – e ha poi dato luogo a vari rilievi e molteplici discussioni non solo in Italia, ma anche in ambito internazionale, dove il tema della data retention è oggetto da tempo di dibattiti e polemiche, per lo più in relazione a problemi di privacy.
Il tema merita un ulteriore approfondimento – e va collocato in una prospettiva più ampia, di cui questo è solo un episodio.
Quel decreto legge è nato, quasi casualmente, per l’affrettata decisione di modificare le conseguenze di un precedente decreto legislativo (il 196 del luglio 2003 – Testo Unico sul trattamento dei dati personali) che, per motivi di privacy, aveva disposto (peraltro con varie eccezioni) l’eliminazione dei dati archiviati dopo trenta mesi.
Il testo del nuovo decreto legge è confuso, disordinato e poco chiaro – ma nella sostanza non modifica lo stato di fatto precedente, se non per un allungamento obbligatorio del tempo di conservazione dei dati.
Il decreto legge, preso in sé, (e nell’ipotesi che rimanga tal quale e sia applicato con “buone intenzioni”) non è più preoccupante o vessatorio di altri provvedimenti emanati o in corso di emanazione sulle attività in rete. Ma se lo si osserva nel contesto, cioè nel processo di continua erosione dei diritti civili da tempo in atto, si rivela come ennesimo sintomo di un problema più generale – che non riguarda solo l’Italia.
Quando si parla di data retention i termini del dibattito si riassumono quasi sempre nel contrasto fra sostenitori della privacy e organismi investigativi. Se ci si limita a questo tema (importante, ma non l’unico né il principale) si perdono di vista sia i pericoli per altri, e non meno rilevanti, diritti individuali, sia il quadro più generale del rapporto fra dovere di protezione da parte dello Stato e rispetto dei diritti civili.
In particolare, sta emergendo prepotentemente la tendenza (già da molto tempo sviluppata in pratica, ma non ancora formalmente codificata) a trasformare il criterio di responsabilità dalla sanzione degli effetti di un comportamento a punizione di uno “status” considerato a priori come colpevole.
Cioè il concetto, in sé legittimo e corretto, di prevenzione si trasforma in sanzione arbitraria contro categorie, reali o immaginarie, di “presunti trasgressori”.
Non c’è dunque, il responsabile di un furto, ma “il ladro”. Non l’autore di un accesso abusivo a una rete, ma “il pirata” (definizione impropria e bizzarramente applicata anche ad attività, illecite o non, che nulla hanno a che vedere con omicidi, ladrocini ed estorsioni). Non «il soggetto che detiene immagini pornografiche prodotte mediante lo sfruttamento sessuale dei minori», ma “il pedofilo”.
In altri termini, si creano “modelli criminali” che vanno puniti non per quello che fanno, ma per quello che sono, o, meglio, che potrebbero essere. Senza nemmeno bisogno che il “modello” compia concretamente un atto illecito.
È evidente che queste definizioni, sostanzialmente vaghe, approssimate e arbitrarie, permettono a chiunque abbia poteri di controllo e sanzione di perseguitare, con una varietà di pretesti, chiunque sia sgradito, dissenziente o scomodo.
Il quadro, ovviamente, si aggrava in presenza di un problema drammatico e preoccupante come il terrorismo. Che mette in evidenza la necessità di una intelligente prevenzione – quanto la necessità (funzionale oltre che etica) di non scatenare arbitrarie e pericolose cacce alle streghe, di non cadere in “categorizzazioni” improprie – e di non intaccare, con il pretesto della minaccia terrorista, quei diritti umani e civili, e quelle libertà personali, di cui ci si dichiara difensori.
In questo contesto, la data retention (insieme ai criteri, inevitabilmente arbitrari, di analisi e classificazione dei contenuti) gioca un ruolo essenziale perché consente di creare tanti “modelli comportamentali” quante sono le necessità di chi indaga – come di chiunque altro, per qualsiasi altro motivo, ha accesso ai dati. E per di più, considerato che una conservazione generalizzata dei dati di traffico è estremamente onerosa sia dal punto di vista tecnico, sia da quello economico-gestionale, non è improbabile che si debba operare una scelta sui soggetti il cui traffico dovrà essere conservato. Aprendo così la strada a schedature di massa delle persone “sgradite” al potere. Che già esiste – ma con più massicce risorse tecniche non solo può essere enormemente potenziata, ma può anche creare infinite complicazioni per le inevitabili imperfezioni e arbitrarietà degli automatismi.
Sappiamo, per esperienza pratica, che la “profilazione” a fini commerciali funziona malissimo ed è molto meno efficace di altre, più civili, forme di dialogo e scelta degli interlocutori. Ma la leggenda, diffusa ad arte dai mercanti di dati, della sua efficacia ha prodotto non solo un comprensibile allarme, ma un esagerato allarmismo – per cui se da un lato si tenta di limitare la “profilazione” come strumento commerciale, dall’altro si immagina che sia uno strumento utile per le indagini – o per altri controlli e manipolazioni, tutt’altro che trasparenti e legittime, da parte dei centri di potere.
Con l’uso di strumenti inaffidabili quanto manipolabili si sviluppano indagini e processi (oltre a molte forme non giudiziarie di persecuzione) contro “identità virtuali” che possono facilmente essere create ad hoc secondo ogni sorta di pregiudizi o di intenzioni persecutorie. Con l’aggravante che le vittime non sanno come difendersi perché l’indagine “è fatta con il computer” e perché non c’è modo di sapere come siano stati generati i dati.
Così il mito di “infallibilità della macchina” si incrocia con una forma di “neo lombrosismo” che permette di creare ad libitum categorie di presunti “criminali tendenziali” o “tipologie predisposte” in cui può essere compresa qualsiasi persona, o categoria di persone, sia considerata scomoda o fastidiosa. Una specie di pogrom istituzionalizzato, senza neppure la trasparenza e la visibilità di un pregiudizio etnico o culturale pubblicamente dichiarato.
Inoltre, in ogni indagine “automatizzata” possono nascondersi pericoli di varia specie. Criteri impropri o arbitrari possono essere inseriti nel sistema in modo occulto e difficilmente rilevabile – e altrettanto “invisibili” distorsioni possono derivare dall’imperizia, o dall’intenzionale deformazione, di un operatore.
Una somma di intenzionali persecuzioni e di involontari errori (e con infinite complicazioni derivanti dalla “convergenza” dei due fattori) può produrre conseguenze così vaste e complesse che è preoccupante anche solo immaginarle.
Su questo tema dovremo ritornare, in una prospettiva piùestesa. Ma intanto, e come provvisoria conclusione, ritorniamo al caso specifico di questo decreto legge. È vero che si parla, nel decreto, di procedure “garantiste” sulla conservazione sull’accesso ai dati di traffico, ma senza alcuna chiara indicazione di come debbano essere realizzate. Per di più, se la creazione dei dati di traffico è intenzionalmente truccata, o casualmente inesatta, conservarli “correttamente” significa solo conservare sistematicamente dati sbagliati. E chiunque abbia un po’ di competenza in fatto di elaborazione elettronica sa che questo non è solo possibile, ma piuttosto frequente.
Insomma la necessità di sorveglianza per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali non riguarda solo la privacy. E va molto oltre il caso specifico di questo mal concepito decreto legge, che è solo un episodio di una serie lunga nel tempo, che tende continuamente a peggiorare.
Ambiguità e pericoli
della prevenzione
Comunicato di ALCEI – 24 gennaio 2004
C’è diffusa preoccupazione per le conseguenze del decreto legge 534 (emanato dal governo italiano il 24 dicembre 2003) che stabilisce, a carico dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, l’obbligo di conservazione fino a cinque anni dei dati di traffico dei servizi telefonici e internet trattati per finalità di fatturazione, ma utilizzabili per ispezione da parte di magistrati inquirenti, forze di polizia o altre funzioni di stato.
Il problema era stato segnalato da ALCEI nel suo comunicato del 23 dicembre 2003 La conservazione indiscriminata del traffico internet non serve ad arrestare i criminali e minaccia la libertà di imprese e cittadini – e ha poi dato luogo a vari rilievi e molteplici discussioni non solo in Italia, ma anche in ambito internazionale, dove il tema della data retention è oggetto da tempo di dibattiti e polemiche, per lo più in relazione a problemi di privacy.
Il tema merita un ulteriore approfondimento – e va collocato in una prospettiva più ampia, di cui questo è solo un episodio.
Quel decreto legge è nato, quasi casualmente, per l’affrettata decisione di modificare le conseguenze di un precedente decreto legislativo (il 196 del luglio 2003 – Testo Unico sul trattamento dei dati personali) che, per motivi di privacy, aveva disposto (peraltro con varie eccezioni) l’eliminazione dei dati archiviati dopo trenta mesi.
Il testo del nuovo decreto legge è confuso, disordinato e poco chiaro – ma nella sostanza non modifica lo stato di fatto precedente, se non per un allungamento obbligatorio del tempo di conservazione dei dati.
Il decreto legge, preso in sé, (e nell’ipotesi che rimanga tal quale e sia applicato con “buone intenzioni”) non è più preoccupante o vessatorio di altri provvedimenti emanati o in corso di emanazione sulle attività in rete. Ma se lo si osserva nel contesto, cioè nel processo di continua erosione dei diritti civili da tempo in atto, si rivela come ennesimo sintomo di un problema più generale – che non riguarda solo l’Italia.
Quando si parla di data retention i termini del dibattito si riassumono quasi sempre nel contrasto fra sostenitori della privacy e organismi investigativi. Se ci si limita a questo tema (importante, ma non l’unico né il principale) si perdono di vista sia i pericoli per altri, e non meno rilevanti, diritti individuali, sia il quadro più generale del rapporto fra dovere di protezione da parte dello Stato e rispetto dei diritti civili.
In particolare, sta emergendo prepotentemente la tendenza (già da molto tempo sviluppata in pratica, ma non ancora formalmente codificata) a trasformare il criterio di responsabilità dalla sanzione degli effetti di un comportamento a punizione di uno “status” considerato a priori come colpevole.
Cioè il concetto, in sé legittimo e corretto, di prevenzione si trasforma in sanzione arbitraria contro categorie, reali o immaginarie, di “presunti trasgressori”.
Non c’è dunque, il responsabile di un furto, ma “il ladro”. Non l’autore di un accesso abusivo a una rete, ma “il pirata” (definizione impropria e bizzarramente applicata anche ad attività, illecite o non, che nulla hanno a che vedere con omicidi, ladrocini ed estorsioni). Non «il soggetto che detiene immagini pornografiche prodotte mediante lo sfruttamento sessuale dei minori», ma “il pedofilo”.
In altri termini, si creano “modelli criminali” che vanno puniti non per quello che fanno, ma per quello che sono, o, meglio, che potrebbero essere. Senza nemmeno bisogno che il “modello” compia concretamente un atto illecito.
È evidente che queste definizioni, sostanzialmente vaghe, approssimate e arbitrarie, permettono a chiunque abbia poteri di controllo e sanzione di perseguitare, con una varietà di pretesti, chiunque sia sgradito, dissenziente o scomodo.
Il quadro, ovviamente, si aggrava in presenza di un problema drammatico e preoccupante come il terrorismo. Che mette in evidenza la necessità di una intelligente prevenzione – quanto la necessità (funzionale oltre che etica) di non scatenare arbitrarie e pericolose cacce alle streghe, di non cadere in “categorizzazioni” improprie – e di non intaccare, con il pretesto della minaccia terrorista, quei diritti umani e civili, e quelle libertà personali, di cui ci si dichiara difensori.
In questo contesto, la data retention (insieme ai criteri, inevitabilmente arbitrari, di analisi e classificazione dei contenuti) gioca un ruolo essenziale perché consente di creare tanti “modelli comportamentali” quante sono le necessità di chi indaga – come di chiunque altro, per qualsiasi altro motivo, ha accesso ai dati. E per di più, considerato che una conservazione generalizzata dei dati di traffico è estremamente onerosa sia dal punto di vista tecnico, sia da quello economico-gestionale, non è improbabile che si debba operare una scelta sui soggetti il cui traffico dovrà essere conservato. Aprendo così la strada a schedature di massa delle persone “sgradite” al potere. Che già esiste – ma con più massicce risorse tecniche non solo può essere enormemente potenziata, ma può anche creare infinite complicazioni per le inevitabili imperfezioni e arbitrarietà degli automatismi.
Sappiamo, per esperienza pratica, che la “profilazione” a fini commerciali funziona malissimo ed è molto meno efficace di altre, più civili, forme di dialogo e scelta degli interlocutori. Ma la leggenda, diffusa ad arte dai mercanti di dati, della sua efficacia ha prodotto non solo un comprensibile allarme, ma un esagerato allarmismo – per cui se da un lato si tenta di limitare la “profilazione” come strumento commerciale, dall’altro si immagina che sia uno strumento utile per le indagini – o per altri controlli e manipolazioni, tutt’altro che trasparenti e legittime, da parte dei centri di potere.
Con l’uso di strumenti inaffidabili quanto manipolabili si sviluppano indagini e processi (oltre a molte forme non giudiziarie di persecuzione) contro “identità virtuali” che possono facilmente essere create ad hoc secondo ogni sorta di pregiudizi o di intenzioni persecutorie. Con l’aggravante che le vittime non sanno come difendersi perché l’indagine “è fatta con il computer” e perché non c’è modo di sapere come siano stati generati i dati.
Così il mito di “infallibilità della macchina” si incrocia con una forma di “neo lombrosismo” che permette di creare ad libitum categorie di presunti “criminali tendenziali” o “tipologie predisposte” in cui può essere compresa qualsiasi persona, o categoria di persone, sia considerata scomoda o fastidiosa. Una specie di pogrom istituzionalizzato, senza neppure la trasparenza e la visibilità di un pregiudizio etnico o culturale pubblicamente dichiarato.
Inoltre, in ogni indagine “automatizzata” possono nascondersi pericoli di varia specie. Criteri impropri o arbitrari possono essere inseriti nel sistema in modo occulto e difficilmente rilevabile – e altrettanto “invisibili” distorsioni possono derivare dall’imperizia, o dall’intenzionale deformazione, di un operatore.
Una somma di intenzionali persecuzioni e di involontari errori (e con infinite complicazioni derivanti dalla “convergenza” dei due fattori) può produrre conseguenze così vaste e complesse che è preoccupante anche solo immaginarle.
Su questo tema dovremo ritornare, in una prospettiva piùestesa. Ma intanto, e come provvisoria conclusione, ritorniamo al caso specifico di questo decreto legge. È vero che si parla, nel decreto, di procedure “garantiste” sulla conservazione sull’accesso ai dati di traffico, ma senza alcuna chiara indicazione di come debbano essere realizzate. Per di più, se la creazione dei dati di traffico è intenzionalmente truccata, o casualmente inesatta, conservarli “correttamente” significa solo conservare sistematicamente dati sbagliati. E chiunque abbia un po’ di competenza in fatto di elaborazione elettronica sa che questo non è solo possibile, ma piuttosto frequente.
Insomma la necessità di sorveglianza per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali non riguarda solo la privacy. E va molto oltre il caso specifico di questo mal concepito decreto legge, che è solo un episodio di una serie lunga nel tempo, che tende continuamente a peggiorare.
Iscriviti a:
Post (Atom)
Archivio blog
-
▼
2008
(31)
-
▼
aprile
(31)
- Opinion Monitoring Software
- In Cina sono "terroristi" i tibetani.
- Le regole necessarie e quelle inutili
- Pedofilia e Internet: vecchie ossessioni e nuove c...
- "L'infamante articolo contro Vendola"
- Lettera di Daniele Capezzone a Vittorio Feltri
- Una legge virtuale per un allarme virtuale
- "Genitori, il problema non è il porno"
- In attesa di una giusta direzione
- Pornografia apparente e virtuale
- Moloch
- Cassandra
- Isterismo in Gran Bretagna minaccia la libertà di ...
- A proposito di data retention
- La legge 269/98: lati oscuri e contributi
- Ancora norme incivili con il pretesto della "prote...
- Messori: "Il problema? Troppi gay in seminario"
- Pedofilia e censura
- Sottratti ai genitori per un disegno
- Non è preferibile una libertà "rischiosa" ad una c...
- Pedofilia virtuale è pedofilia!
- CANADA – Decisioni della Corte suprema sul concett...
- YouTube, Michelangelo è inappropriato
- Sesso con una 15enne, via il deputato
- La censura e i sequestri in internet
- Il suicidio delle vergini
- UNICEF Japan: urge includere la pornografia virtua...
- La strada e’ aperta per punire chi “pensa” troppo.
- La “frattinizzazione” non è l’unica minaccia
- Una “raccomandazione” del Consiglio d’Europa mette...
- Uno spirito spietatamente lucido
-
▼
aprile
(31)