raccolta di collegamenti e qualche appunto su questioni di diritto dell'informatica, sicurezza, morale...

giovedì 24 aprile 2008

Opinion Monitoring Software

Il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale sta finanziando lo sviluppo di un software per monitorare le opinioni contenute nei quotidiani in tutto il mondo.

http://www.schneier.com/blog/archives/2006/10/opinion_monitor.html

In Cina sono "terroristi" i tibetani.

http://vittoriozambardino.repubblica.it/zetavu/2008/04/dire-ti-uccider.html

Su Punto Informatico di ieri Gaia Bottà ci informava che ormai è ufficiale: per la UE "incitare al terrorismo" è terrorismo. Cioè, esporre idee viene equiparato all'agire. La norma avrà come suo precipuo campo di applicazione il web, con l'immaginabile conseguenza di siti e blog chiusi, bloccati ecc ecc.

Ma la libertà d'espressione non serve per i casi limite? Parola e azione sono davvero così sovrapponibili, nel diritto degli ultimi 200 anni? O "libertà" è solo facoltà di dire ciò che non ferisce il potere?

e a margine: cos'è "terrorismo"? In Cina sono "terroristi" i tibetani. E quale titolo avremo, noi "occidentali" di scandalizzarci per le loro repressioni? L'assolutismo occidentalista prevede il relativismo etico della censura

Le regole necessarie e quelle inutili

http://reporters.blogosfere.it/2006/11/le-regole-necessarie-e-quelle-inutili.html
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200611articoli/14753girata.asp
http://www.bookcafe.net/blog/blog.cfm?id=535
http://www.beppegrillo.it/2007/04/il_proibizionis.html
http://vittoriozambardino.repubblica.it/zetavu/2006/11/e_noi_faremo_co.html
http://www.pazlab.net/formenti/2006/11/28/verso-un-bill-of-rights-della-rete/
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=2&ID_articolo=469&ID_sezione=3&sezione=Web%20Notes
http://www.webgol.it/2006/11/28/intende-la-dittatura-di-pechino-lo-sventurato-rispose-si/
http://www.pazlab.net/formenti/2006/11/25/prendiamo-liniziativa-o-le-regole-le-faranno-dallalto/

Pedofilia e Internet: vecchie ossessioni e nuove crociate

http://www.interlex.it/regole/convped.htm

Convegno promosso da Radio Radicale
Pedofilia e Internet: vecchie ossessioni e nuove crociate
Roma, 27 ottobre 1998
Hotel Bologna (Senato della Repubblica) Via Santa Chiara 5

Programma e interventi

Obiettivo del convegno è analizzare e denunciare le pericolose conseguenze sulle libertà personali, sul diritto alla privacy e sullo sviluppo delle nuove tecnologie telematiche delle iniziative legislative e giudiziarie condotte sotto la spinta della recente campagna aperta - con patenti falsificazioni della verità - nei confronti della pedofilia in generale e del binomio "Internet-pedofilia" in particolare.

Con il pretesto di perseguire in forme nuove e "definitive" gli antichi fenomeni degli abusi sessuali sui minorenni, della prostituzione e della pornografia minorile che avrebbero trovato nella rete Internet l'occasione e lo strumento congeniale e "connivente" per diffondersi nel mondo e in Italia, è in corso una campagna politica e giornalistica basata su premesse false, che ha già prodotto gravissime violazioni e restrizioni alle libertà personali e al diritto alla riservatezza e rischia di pregiudicare lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione basati sulla rete Internet.

Contro questa nuova crociata, che distorce i dati relativi allo sfruttamento e agli abusi sessuali nei confronti dei minori e demonizza Internet come strumento criminogeno di perversione del costume sessuale, non si è levata una sola voce autorevole nel vasto panorama politico italiano se non quella dei radicali, e di pochi altri, ovviamente ignorata dalla totalità della stampa. Al contrario, ampie "unità nazionali" si sono consolidate nelle odiose, proclamatorie e inutili norme legislative approvate in questi mesi, e cori di consensi si sono levati indistintamente da giornali e Tv di ogni orientamento in occasione di discutibili azioni giudiziarie o delle clamorose operazioni internazionali di polizia che avrebbero assicurato alla giustizia pericolose organizzazioni di "pedofili".

La disinformazione sulla realtà del drammatico problema degli abusi contro i minori, le ossessioni sessuofobiche che ancora caratterizzano la parte vincente della cultura politica italiana e l'irriducibile avversione a ogni mezzo di comunicazione che - come Internet - appaia indisponibile a forme di controllo corporativo o istituzionale sono le componenti costitutive di questa crociata politica e giornalistica contro il nuovo demone della "pedofilia telematica".

Per smascherare le stesse basi di questa crociata, basterebbe fare riferimento ai dati (1) relativi all'identità dei responsabili di violenze sessuali contro i minori: secondo le statistiche dei procedimenti penali relativi a questi reati, il 90% dei casi degli abusi sessuali avviene in famiglia; l'8% degli abusi è compiuto da persone esterne alla famiglia ma conosciute dal minore (e spesso si tratta di cosiddette figure "di riferimento"); solo il 2% dei casi chiama in causa persone sconosciute ai minori. La violenza sessuale contro i minori è una realtà che si sviluppa dentro - e non fuori o contro - gli istituti sociali più tradizionali (la famiglia, la scuola, la parrocchia, i luoghi di aggregazione).

La crociata politica, giornalistica e giudiziaria in corso, è dunque rivolta a colpire non più del 2% dei responsabili delle violenze contro i minori (lo sconosciuto che insidia i fanciulli davanti alle scuole.) mentre un silenzio imbarazzato, quando non complice, copre la vera identità degli autori della assoluta maggioranza degli abusi o supposti tali; un silenzio che dimostra inoltre la paura di toccare altri scabrosi tabù sessuali della nostra società, quali ad esempio quelli dell'incesto o quello della sessualità dei religiosi.

È comunque bene ricordare che, in alcune occasioni, anche presunti episodi di incesto su bambini o infanti - rivelatisi poi tragici errori giudiziari - non sono stati esentati dal linciaggio pubblico esattamente come oggi accade ai cosiddetti "pedofili telematici": basti pensare al caso del padre accusato di violenza sulla figlia risultata poi affetta da una grave malattia al retto.

Sono peraltro gli stessi dati ufficiali a dimostrare che, in Italia, il fenomeno degli abusi sessuali nei confronti dei minori (compresi quelli compiuti da "estranei") non è affatto in crescita e non giustifica quindi le campagne di allarmismo politico-giornalistico di questi ultimi mesi.

È inoltre assai arduo spiegare la relazione che dovrebbe intercorrere fra questi episodi di violenza consumati nei luoghi privilegiati della formazione e dell'educazione dei minori e la rete Internet.

Non meno misterioso è il ruolo che dovrebbe giocare Internet nei confronti della prostituzione minorile che nel nostro Paese coinvolge in massima misura minorenni immigrate dai Paesi dell'Est e dell'Africa e che è organizzata attraverso strumenti di sfruttamento del tutto tradizionali.

Ma il fronte su cui sono stati prodotti gli effetti più gravi contro le libertà e il buonsenso è quello della pornografia minorile. Con il voto unanime delle Camere è stata approvata una legge (2) che da una parte pretende di arrestare il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile attraverso l'inasprimento delle pene e dall'altra colpisce le libertà delle persona e pregiudica lo sviluppo della rete Internet in Italia, imponendo nuovi e pervasivi controlli su questo mezzo di comunicazione. Colpire o "commissariare" Internet perché attraverso di esso vengono scambiate anche immagini pornografiche è tanto ragionevole quanto vietare i telefoni perché, loro tramite, sono anche concordati incontri mercenari, oppure - come ha rilevato uno dei pochi critici della legge, il Prof. Zeno-Zencovich (3) - "prendersela con i marciapiedi, chiedendo di limitarne l'uso, sol perché certe signore passeggiando su di essi vi esercitano il mestiere più antico del mondo".

Al legislatore - a cui non è sembrato sufficiente affermare che il reato di pornografia minorile può essere commesso con "ogni mezzo", ma ha ritenuto necessario specificare "anche per via telematica" - è sfuggita invece la considerazione che l'eventuale uso di Internet per questo tipo di attività espone, diversamente dagli altri canali di distribuzione clandestini, a una sicura individuazione, al pari delle intercettazioni telefoniche. Ma, secondo le nuove disposizioni, persino l'Internet Provider, cioè chi offre l'accesso alla rete e mette a disposizione i server dove vengono scambiati i messaggi e quindi anche eventuali materiali pornografici, rischia di essere colpito dalle sanzioni della legge nonostante il Tribunale Civile di Roma (4) abbia stabilito che chi gestisce tali servizi "non ha alcun potere di controllo e vigilanza sugli interventi che vi vengono inseriti".

La legge prevede il sequestro, la chiusura, la revoca delle licenze per coloro che distribuiranno anche per via telematica materiale pornografico minorile. È uno scenario che ben conosciamo: quando un nuovo mezzo di comunicazione mette in discussione i meccanismi di controllo sulla comunicazione di massa ritornano di attualità censura e autocensura. Non meno grave è tutta l'attività di investigazione che questa legge mette in movimento: dalla schedatura di coloro che accedono a siti o newsgroup pornografici della rete Internet, alla intercettazione della posta elettronica per accertare che non vi sia scambio di materiale "pedofilo", fino alla realizzazione simulata da parte del Ministero dell'interno di siti "pedofili" per incastrare i perversi. È insomma evidente che tabù e ossessioni sessuali diventano pretesto e strumento per limitare e imbavagliare uno dei più straordinari strumenti di comunicazione e di libertà che l'umanità abbia fino a oggi inventato.

Il legislatore, peraltro, non si è limitato a colpire chi sfrutta i minori per produrre materiale pornografico ma anche, con l'articolo 4, chi "dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori di anni diciotto". Chiunque venga trovato in possesso di tale materiale viene punito con la reclusione fino a tre anni. Si tratta di una semplificazione proibizionistica che può produrre più danni che il reato che si vuole colpire. Aberranti saranno le conseguenze della criminalizzazione di chi semplicemente contempla o magari visualizza casualmente, navigando in Internet, materiale pornografico "proibito": si apriranno le porte ad abusi e ingiustizie e si creerà un nuovo mercato nero che ovviamente sarà occupato dalla criminalità.

E chi deciderà cosa è pornografico e cosa invece è manifestazione artistica o semplice esibizionismo? Sarà reato detenere quadri di Balthus o loro riproduzioni?. Magistrati e poliziotti saranno autorizzati a perquisire le abitazioni alla ricerca di fotografie "pedofile", cosicché i genitori si vedranno costretti a bruciare le fotografie dei propri bambini nudi?

Infine, la pedofilia senza virgolette. Contestare le forme di questa crociata antipedofila non significa riconoscere il "buon diritto" di qualcuno a intrattenere relazioni sessuali con bambini in tenera età; si tratta di difendere il "buon diritto" di ciascuno a non essere giudicato e condannato solo sulla base della riprovazione morale suscitata dalle proprie preferenze sessuali. Nessuno sembra rendersi conto dei rischi connessi a una normativa, che autorizza ogni sorta di sospetto, e consente ogni sorta di persecuzione giudiziaria o di criminalizzazione pubblica nei confronti di individui non già responsabili di atti concreti, ma "colpevoli" di sentimenti o desideri giudicati - a torto o a ragione - anomali, deviati, perversi e patologici.

D'altra parte, cosa intendiamo parlando di pedofilia e, soprattutto, di violenza sessuale contro minori? Certo, esistono casi in cui è evidente una coercizione fisica o psicologica dei minori ad attività sessuali, cui essi non possono consentire in modo consapevole. Ma siamo certi, come osserva Gianni Vattimo (5), che gli adolescenti a cui in molti Paesi del mondo attribuiamo la capacità di rispondere in giudizio delle proprie azioni non abbiano invece pari consapevolezza e responsabilità nell'ambito sessuale?

In ogni caso in uno Stato di diritto essere pedofili, proclamarsi tali o anche sostenerne la legittimità non può essere considerato reato; la pedofilia, come qualsiasi altra preferenza sessuale, diventa reato nel momento in cui danneggia altre persone.

È invece certo che criminalizzare i pedofili in quanto tali - come "categoria" - non sulla base dei loro comportamenti ma della loro "condizione", non è ulteriormente tollerabile, e alimenta forme di psicosi sociale, e accessi di intolleranza che non costituiscono un argine alla violenza contro i minori, ma uno stimolo a una caccia agli "untori" letteralmente devastante sul piano civile o politico.

---------

(1) PACSE - Project Against Child Exploitation - Sviluppato dalla fondazione Censis, con il contributo dei Ministeri degli Interni e di Grazia e Giustizia - Finanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma STOP (http://www.pacse.censis.it.

(2) Legge 3 agosto 1998, n. 269 contenente "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998 (http://www.parlamento.it/parlam/leggi/982691.htm.

(3) Vincenzo Zeno-Zencovich, "Ma ora non criminalizziamo la Rete", Il Messaggero, venerdì 4 settembre 1998 (È l'unico articolo dell'edizione del 4 settembre non riprodotto sul sito Internet del Messaggero - http://www.ilmessaggero.it).

(4) Ordinanza del Tribunale di Roma 4 luglio 1998 (www.interlex.com/testi/or980704.htm - www.aiip.it/news-group.html).

(5) Gianni Vattimo, "Caccia alle streghe on-line?", La Stampa, lunedì 7 settembre 1998.

Pedofilia e Internet: Vecchie ossessioni e nuove crociate
Convegno promosso da Radio Radicale
Roma, 27 ottobre 1998
Hotel Bologna (Senato della Repubblica) Via Santa Chiara 5

Programma provvisorio

Apertura lavori: ore 9,30 - Conclusioni: ore 17

RELAZIONI E INTERVENTI (IN ORDINE ALFABETICO):

Barbara Alberti (Scrittrice)
Marco Barbuti (Presidente Associazione Italiana Internet Providers)
Giorgio Maria Bressa (Psichiatra)
Ernesto Caccavale (Eurodeputato Forza Italia)
Manlio Cammarata (Direttore di InterLex)
Cinzia Caporale (Bioeticista)
Aldo Carotenuto (Docente della Psicologia della Personalità all'Università di Roma)
Elena Coccia (Avvocato)
Pasquale Costanzo (Docente di Diritto costituzionale all'Università di Genova)
Stefano Crispino (Presidente Ordine psicologi del Lazio)
Luigi De Marchi (Psichiatra)
Giuseppe De Rita (Presidente CNEL)
Ruggero Guarini (Giornalista e scrittore)
Sebastiano Maffettone (Docente di Filosofia politica all'Università di Palermo)
Claudio Manganelli (Componente dell'Autorità per la tutela dei dati personali)
Adelmo Manna (Docente di Diritto penale all'Università di Bari)
Armando Massarenti (Responsabile della pagina "scienza e filosofia" del supplemento culturale de "Il Sole 24 Ore")
Mauro Mellini (Avvocato)
Piero Milio (Senatore Lista Pannella)
Paolo Nuti (Direttore MC-Link)
Anna Oliverio Ferraris (Psicologa)
Angelo Maria Petroni (Docente di Filosofia della Scienza allíUniversità di Bologna)
Lorenzo Picotti (Docente di Diritto penale all'Università di Friburgo)
Antonio Pilati (membro Autorità Garante per le Telecomunicazioni)
Iuri Maria Prado (Avvocato)
Piero Rocchini (Psichiatra)
Stefano Rodotà (Presidente dell'Autorità per la tutela dei dati personali)
Rosario Sapienza (Ricercatore CENSIS)
Luigi Saraceni (Deputato DS)
Sergio Seminara (Docente di Diritto penale commerciale all'Università di Pavia)
Vittorio Sgarbi (Deputato Gruppo Misto)
Vincenzo Siniscalchi (Deputato DS)
Marco Taradash (Deputato di FI)
Vittorio Zambardino (Responsabile editoriale di "Repubblica Internet")

Per informazioni:

http://www.agora.stm.it/pedofilia-internet/
Roberto Cicciomessere: tel. 06-6991742, fax: 69920123 r.cicciomessere@agora.it
Daniele Capezzone: tel. 06-689791, d.capezzone@agora.it

"L'infamante articolo contro Vendola"

http://www.gaynews.it/view.php?ID=8910

Lettera di Daniele Capezzone a Vittorio Feltri

http://www.radicali.it/view.php?id=27371

27 maggio 2001

Alla cortese ed urgente attenzione

del Direttore di “Libero” Vittorio Feltri



Roma, 26 maggio 2001





Signor Direttore,

ancora una volta, sul Suo giornale, sono chiamato in causa a proposito della “questione pedofilia”. E devo confessarLe che, già qualche mese fa, vedere “Libero” unirsi al frettoloso “copia e incolla” che alcuni, anche in Italia, hanno ritenuto di fare delle accuse (da KGB, o, se si preferisce, da Gestapo) di pedofilia -oltre che di narcotraffico e terrorismo- con cui i comunisti russi, cinesi e cubani hanno ingloriosamente cercato di cacciare dall’ONU il Partito Radicale Transnazionale (il partito di Antonio Russo, il partito del Tribunale penale intenazionale per i crimini contro l’umanità, il partito dell’abolizione della pena di morte nel mondo), è cosa che mi è davvero dispiaciuta. Per i Suoi lettori, per Lei, e per il Suo giornale.

Mi pare utile, in ogni caso, provare a riassumere il mio pensiero sull’argomento.



Primo. In base ai dati ufficiali forniti dal Censis, su 100 violenze ai danni dei minori, 90 avvengono in famiglia, 8 sono praticate da parte delle cosiddette “figure di riferimento” (insegnanti, religiosi, educatori,…), e solo 2 sono opera di estranei, di persone sconosciute. Quindi, proprio chi ha a cuore la sorte dei più piccoli farebbe bene a rendersi conto che la violenza sessuale nei confronti dei minori si sviluppa all’interno (e non contro o fuori) gli istituti sociali tradizionali (la famiglia, la parrocchia, la scuola, e così via), mentre la crociata mediatica e giudiziaria in corso non si occupa che del 2% del problema. Restano invece del tutto intatti e intangibili tabù quali l'incesto o la sessualità dei religiosi, così come, più in generale, nessuno (nemmeno dopo i fatti di Novi Ligure: famiglia cattolicissima, madre cattolicissima, figlia cattolicissima) sembra desideroso di interrogarsi sullo stato della famiglia cattolica e "normale" italiana.



Secondo. La crociata in corso e la legge "antipedofilia" che ne è stata il frutto hanno portato per un verso alla criminalizzazione dei provider in particolare e dello strumento Internet in generale (della serie: proibiamo i marciapiedi perché ci camminano le prostitute....), e per altro verso ad una straordinaria crescita di valore del materiale pornografico a sfondo pedofilo (videocassette, cd rom, ecc.ecc.). E' il consueto schema meramente repressivo, che non fa che alimentare il mercato criminale che intenderebbe colpire.



Terzo. Premesso che i fatti di questi giorni non sono episodi di "pedofilia", ma di pura violenza e criminalità, e come tali devono essere considerati e perseguiti, voglio aggiungere che, in termini liberali, è del tutto inaccettabile la criminalizzazione di un orientamento sessuale in quanto tale, di un modo di "essere", di uno “stato”. Ogni orientamento sessuale, ogni preferenza, ogni scelta possono e debbono invece essere perseguiti se e quando si traducono in comportamenti violenti e dannosi per altre persone, minori o maggiori che siano. Non si tratta di difendere il “diritto” di qualcuno a intrattenere relazioni sessuali con bambini in tenera età; si tratta di affermare il diritto -senza virgolette- di tutti e di ciascuno a non essere condannati -e nemmeno giudicati- sulla base della riprovazione morale che altri possono provare nei confronti delle loro preferenze sessuali. Criminalizzare i “pedofili” in quanto tali, al contrario, non serve a “tutelare i minori”, ma solo a creare un clima incivile, né umano né -vorrei dire- cristiano.



RingraziandoLa per questa ospitalità, che mi consente per la prima volta di far conoscere ai Suoi lettori la mia opinione in merito, Le invio i miei migliori saluti.



Daniele Capezzone (dcapezzone@hotmail.com)



P.S. Visto che il Suo giornale si occupa spesso del Convegno che organizzammo sul tema nell’ottobre del 1998, Le lancio una proposta: perché, oltre a parlarne, non ne pubblichiamo gli atti, a cominciare, per fare un esempio, dall’intervento del professor Giuseppe De Rita? Sarebbe, credo, un’interessante scoperta per molti lettori.

Di nuovo grazie.

Una legge virtuale per un allarme virtuale

http://www.repubblica.it/online/internet/convint/convint/convint.html

"E' come se Agnelli venisse condannato perché la gente corre troppo in macchina...". "E' come se le Poste venissero ritenute penalmente responsabili dei pacchi bomba inviati dagli squatter ai magistrati torinesi...". "Come se...". Si ricorre ai paragoni perché mancano le parole per definire la "mostruosità giuridica" della legge numero 269 dell'agosto 1998, nota come legge anti pedofilia, che oltre a punire lo sfruttamento sessuale dei minori obbliga anche gli Internet provider, pena la chiusura e il sequestro dei server, a una impropria funzione di controllo e di censura dei contenuti da loro veicolati.

Di questa legge "d'emergenza", approvata all'unanimità mai mai discussa in Parlamento perché votata in sede legislativa dalle commissioni Giustizia di Camera e Senato, si è discusso a Roma nel convegno "Pedofilia e Internet: vecchie ossessioni e nuove crociate" organizzato dai Radicali. Molti gli interventi, e quasi tutti hanno sparato senza pietà sulla legge "da caccia alle streghe", illiberale, anti garantista, cavallo di Troia contro Internet, come l'hanno definita tra gli altri l'eurodeputato Ernesto Caccavale, il professore di Diritto Sergio Seminara, il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin, il direttore di Agorà telematica Roberto Cicciomessere. La discussione ha riguardato vari aspetti della legge dalla responsabilità degli Internet provider alla punibilità di chi "detiene" materiale pedo-pornografico alla pedofilia in generale, come criminalità ma anche come diversità sessuale.

La questione che riguarda Internet è l'articolo tre della legge. Che da una parte stabilisce la pena per chi sfrutta i minori nella produzione di materiale pornografico, ma che recita anche: "Chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale pornografico o notizie e informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori, è punito con la reclusione da uno a cinque anni". La frase incriminata è dunque quell'"anche per via telematica", che inserisce i fornitori di accesso a Internet tra coloro che divulgano e distribuiscono gli "oggetti del reato" della pedofilia. Perché il legislatore ha voluto essere così preciso? Perché non si è fermato alla frase "con qualsiasi mezzo"?

Una risposta a questa domanda è venuta da Giuseppe De Rita, presidente del Cnel: "Una legge virtuale per un allarme virtuale, scritta per nascondere una realtà spaventosa: la pedofilia è nella famiglia, il 90 per cento degli abusi sui minori avviene in famiglia". Le marce in Belgio con i palloncini bianchi, poi i titoloni sui quotidiani, poi i mostri creati forzando le tragiche cronache di violenza. Il tutto ha prodotto stereotipi e ha creato l'allarme. Una grande "bolla" d'opinione, ha definito De Rita questo fenomeno. Una "bolla di virtualità virtuosa", utilizzata dal legislatore per creare un reato ad hoc e rispondere quindi a un allarme per l'appunto "virtuale".

Il dato elaborato dal Censis è stato ripetuto con insistenza in tutti gli intervenuti: il 90 per cento degli abusi sessuali sui minori avviene in famiglia e l'8 per cento avviene in ambienti contingui alla famiglia, alla scuola e agli altri luoghi di aggregazione dei bambini. E' dunque nel rimanente due per cento dei casi che si nasconderebbe il pedofilo che adesca il minore via Internet, quello per il quale il legislatore ha scritto la clausola "anche per via telematica" con la quale gli Internet provider rischiano l'incriminazione e anche la chiusura qualora sui loro server transitino contenuti o immagini contemplati come reati dalla legge in questione.

Soluzioni? Rivedere la legge. Chiedere al garante della privacy Stefano Rodotà di intervenire per la tutela della riservatezza, ormai quotidianamente violata dalle indagini telematiche a tappeto che vanno dalle intercettazioni delle e-mail alla creazione di siti "per adescare gli adescatori", una sorta di agenti provocatori web. E ancora, altra soluzione: separare la criminalità sessuale dalla diversità sessuale, come ha detto Luigi De Marchi. "Per smontare la caccia alle streghe e il binomio Internet-pedofilia, è necessario scoperchiare gli ambienti intoccabili, cioè la famiglia e le parrocchie di tutte le religioni, le due istituzioni della pedofilia e della violenza sui minori", ha detto l'anziano psichiatra.

Altre possibili soluzioni sono state proposte dagli Internet provider, in sostanza tutte riassumibili in un concetto: per rendere la Rete più sicura i fornitori di accesso si impegnano a registare con cura i propri abbonati, in modo da poter rintracciare l'autore di eventuali fatti illeciti. In particolare Paolo Nuti, direttore dell'Internet provider McLink, ha messo il dito sul più generale problema dell'anonimato. "E' importante che l'utente di Internet sappia di non godere di una sorta di totale impunità", ha detto Nuti. "Chi usa Internet deve essere obbligato dal suo provider a conoscere prima, e quindi a rispettare poi, le regole del gioco". Quindi: niente accessi anonimi alla Rete (e qui sotto accusa sarebbero alcuni fornitori di accesso che hanno distribuito in questi mesi abbonamenti anonimi gratuiti di prova e che spesso non li hanno fatti scadere), "in modo che sia chiaro, una volta per tutte, il principio più elementare del diritto: la responsabilità di un atto criminoso è sempre individuale".

La battaglia contro l'anonimato, "gioco affascinante ma pericoloso, che a volte induce a compiere reati o addirittura a impossessarsi dell'identità di un altro", spiega Nuti, "è l'unica forma di autoregolamentazione possibile per un Internet provider: per mantenere l'ordine, ma soprattutto per obbligare gli utenti a essere responsabili delle proprie parole e dei propri gesti in Rete". E, oltre tutto, conclude Nuti, anche l'anonimato assoluto, dietro cui si nascondono sia il pedofilo che va a caccia nella Rete sia gli altri criminali che utilizzano Internet, è un'illusione: "Ogni provider, su ordine della magistratura, è in grado di risalire in poco tempo alla vera identità di un criminale". E anche se il crimine avviene per posta elettronica anonima (Hotmail, Yahoo e i tanti servizi di e-mail gratuite), anche in quel caso non è vero che ci sia l'impunità totale e la libera scorribanda. Il tempo è più lungo, è necessario far partire una rogatoria internazionale, ma il pedofilo, il ladro, il calunniatore o il truffatore verranno comunque individuati.

(27 ottobre 1998)

"Genitori, il problema non è il porno"

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In attesa di una giusta direzione

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Pornografia apparente e virtuale

http://www.psicologiagiuridica.com/numero%20010/editoriale/editoriale.PDF

Psicologia e Giustizia
Anno V, numero 2
Luglio -Dicembre 2004

Pornografia apparente e virtuale
Il DDL (disegno di legge) 7.11.2003 ha recepito la decisione europea N. 68/04
introducendo nuove fattispeci penali in tema di pedo-pornografia che spiccano per
novità (art. 3.1 tradotto in art. 600 quater.1 e 600 quater.2 c.p.):
a)
La pornografia apparente in cui il minore tale non è perché vengono
utilizzate persone che per le loro caratteristiche fisiche hanno le sembianze
di minori di anni 18;
b)
La pornografia virtuale per cui il materiale pornografico ritrae o rappresenta
visivamente realistiche immagini virtuali di minori di anni 18. Tali immagini
sono realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o
in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come
vere situazioni non reali.
Il legislatore ha previsto che le pene vengano diminuite in questi casi di un terzo.
Gli Stati Membri devono adottare le disposizioni necessarie per conformarsi a quella
decisione entro il 20 gennaio 2006 ed è per questo che si è aperta la discussione su
questo DDL. Qui di seguito riporto le osservazioni che ho presentato al Convegno
Nazionale Mediazione Penale: quali prospettive?, organizzato dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche e dall’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari, con il patrocinio del
Senato della Repubblica, del Dipartimento Giustizia Minorile, del Ministero della
Giustizia e del Comitato Italiano per l’Unicef Onlus, tenutosi a Roma il 20 gennaio
2005.
La scelta del legislatore italiano è criticabile sotto numerosi aspetti. Intanto ricordiamo
che l’art. 2 della decisione della Comunità Europea del 21 dicembre 2003, n. 68/2004
aveva previsto che queste due fattispeci, ovvero la pornografia apparente e virtuale,
potessero essere escluse dalla punibilità degli Stati Membri.
Nonostante la diminuzione di un terzo, le pene sono aspre (si tenga conto che esse
prima della riduzione prevista dal DDL per la realizzazione e la produzione sono da 6 a
18 anni e più la multa da euro 25822 a 258228 e che per essersi procurato e aver
detenuto materiale pornografico c’è la punizione alla reclusione fino a 3 anni con multa
non inferiore a 1549 euro). Nella relazione al disegno di legge approvato dal Consiglio
dei Ministri del 7 novembre 2003 si legge che si è voluto solo parzialmente seguire la
possibilità di esclusione in quanto si ritiene che questi fatti siano comunque gravi in
quanto “suscettibili, comunque, di produrre effetti di incremento e diffusione del
fenomeno della pornografia minorile e siano dunque da considerare meritevoli di
repressione penale”. Si tratta di una dichiarazione di principio rispettabile ma poco
suffragata sotto il profilo empirico. Si tenga conto che il codice penale queste fattispeci
sono inserite nel capo III “Dei delitti contro la libertà individuale” sezione I “Dei delitti
contro la personalità individuale” del libro II del Codice Penale, pertanto il bene
giuridico è la salvaguardia dello sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale
del minore. Ora in questi casi, trattandosi di minori apparenti o minori virtuale, non si
vede come potrebbero risultare offesi da simile fatti né si riesce a provare – almeno allo
stato – che la pornografia apparente o virtuale possa incentivare altri delitti. Le pene
appaiono così gravi da poter essere addirittura criticate sotto il profilo della loro
costituzionalità. Un’altra critica è quella di non avere definito cos’è la pornografia
infantile. La decisione quadro la definisce come segue: “un bambino reale implicato o
coinvolto in una condotta sessualmente esplicita fra cui l’esibizione lasciva dei genitali
o dell’area pubica”. Naturalmente il concetto di “esibizione lasciva” mette a repentaglio
parecchie persone che fotografano i loro bambini nudi al mare o mentre fanno il
bagnetto. Comunque è apprezzabile il tentativo di dare una definizione che manca,
come detto, nel disegno di legge.
Guglielmo Gulotta

Moloch

http://newsletter.olografix.org/

(marzo 2006)
Due nuove leggi a fine legislatura hanno dato un ulteriore giro di vi-
te ai diritti nella rete. L’accusa arriva da ALCEI, la storica “Asso-
ciazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva”,
che si occupa in Italia di diritti telematici (www.alcei.org). La pri-
ma legge è la modifica della 269/98 approvata il 23 gennaio dal titolo
“Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet”. Un legge che
Alcei già contestava per le “inaccettabili estensioni dei poteri di
polizia” e che ora presenta due discutibili novità. La prima è l’arti-
colo 4 che introduce il reato di “pornografia virtuale” con una defi-
nizione che per Alcei “si presta a interpretazioni strumentali e dis-
crezionali che vanno a incidere addirittura sul condizionamento del
pensiero“. La seconda, con l’articolo 14 Bis, è l’introduzione di un
“Centro nazionale, contrasto della pedopornografia sulla rete Inter-
net” che funzionerà da collettore delle segnalazioni di siti incrimi-
nati, nonché di gestori e beneficiari di pagamenti collegati a questi
reati. Un vero e proprio “Moloch che al di fuori di ogni controllo
della magistratura esegue attività di indagine”. Non solo, la legge
obbliga i provider, ovvero quelle imprese che offrono servizi e la pos-
sibilità di collegarsi ad Internet, a segnalare a questo centro sogget-
ti o imprese che siano sospettabili di diffondere materiali di questo
tipo, conservarne copia per 45 giorni ed applicare filtri decisi dal
ministero. In caso di mancanza rispetto a questi obblighi verrebbero
applicate delle multe. Una situazione che per Alcei nel nome di una
“finta tutela dei minori, come per l’abusato pretesto della lotta al
terrorismo”, in realtà introduce norme e principi che poi sono facil-
mnete estendibili “anche ad altri ambiti variamente repressivi e liber-
ticidi, come il diritto d’autore, la manifestazione di opinioni scomo-
de o la lotta politica - con le conseguenze che è facile immaginare”.
Una denuncia che vale anche per gli altri dispositivi di legge conte-
stati, ovvero gli articoli 535, 536 e 537 dell’ultima finanziaria, nei
quali il governo ha dettato all’internet italiana “le regole per impe-
dire che gli utenti possano collegarsi ad una lista nera di siti”. In
questo caso si tratta di siti che offrono giochi e scommesse online ma
che di fatto introduce “un altro provvedimento normativo di schedatura
e controllo generalizzato, questa volta con la scusa del gioco d’azzar-
do” . Su disposizione di legge, infatti, i filtri funzioneranno reindi-
rizzando gli utenti che si volevano collegare ad uno dei siti vietati,
su una pagina dei monopoli di stato che potrà così registrare “‘dati
esterni’e modalità di comportamento da girare poi alla Guardia di fi-
nanza per gli ‘accertamenti’ di rito”. Una modalità che, denuncia sem-
pre Alcei, si potrebbe applicare in futuro in altre circostanze e rom-
pe con il principio dello stato di diritto per il quale “ciascuno deve
rispondere di quello che fa” e l’attività investigativa non può esten-
dersi in questo modo utilizzando, di fatto, strumenti di schedatura
preventiva di massa.

Cassandra

http://www.alcei.it/?p=22

Cassandra
di Giancarlo Livraghi

È proprio vero che possiamo stare tranquilli?
Piccolo catalogo di chi non ha voglia di lasciarci in pace

di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it - 1996- 1997

C’è una diffusa percezione, fra chi usa le reti telematiche, che tutto sommato non ci siano motivi di preoccupazione. La rete è libera, anarchica, caotica, complessa, nessuno riuscirà a dominarla o a restringerne la libertà

Le iniziative di censura basate sulla "pornografia" o sulla "pedofilia" sono talmente ridicole che moriranno da sole. I vari dispositivi di "filtro" non funzioneranno mai, e comunque possiamo vivere benissimo anche se ci tolgono l’accesso a qualche sito di "sesso spinto".

Il decency act americano è già stato dichiarato incostituzionale, il resto del mondo dovrà trarne le debite conseguenze.

Ci sono ancora casi di abusi e sequestri, ma sono meno frequenti; non ci sono più state "ondate" come il crackdown americano del 1990 o quello italiano del 1994.

Le varie ipotesi di norme o leggi repressive, di appesantimenti burocratici, di strangolamento amministrativo della telematica indipendente, finora non si sono trasformate in realtà; o meglio, leggi potenzialmente pericolose ci sono, ma nessuno le ha applicate, finora, in modo distruttivo.

Gli scandali sugli hacker si risolvono in bolle di sapone.

Il monopolio Telecom, presto o tardi, finirà. La Microsoft non riuscirà a impadronirsi della rete; e anche se ci riuscisse non potrebbe toglierci la libertà.

Insomma: tutto va bene, madama la Marchesa?

Prima di proseguire, vorrei parlare di Cassandra.

È passata alla storia (o alla leggenda) come una strega, una fattucchiera, l’uccello del malaugurio.

Era solo una ragazza intelligente che disse "per favore, prima di tirarci in casa un regalo di quei furbastri degli Achei, perché non proviamo a vedere che sorpresa c’è dentro?" Non la ascoltarono; e poi diedero la colpa a lei.

Ci provò anche Laocoonte, ma lo ammazzarono subito e dissero che erano stati gli Dei. Cassandra in quel momento fu risparmiata (anche perché era figlia del re); ma poi finì prigioniera ad Argo, disse di nuovo qualche verità scomoda e fu assassinata da Clitennestra.

Mi è capitato varie volte nella vita di trovarmi nel ruolo di Cassandra, oppure in quello del troiano stupido.

Ci vanno sempre di mezzo tutti e due; quindi spero proprio, questa volta, di non essere né l’una, né l’altro.

Ma ci sono molti motivi per non stare tranquilli. Timeo Danaos, et dona ferentes.

È vero, per fortuna, che il famigerato decency act negli Stati Uniti è stato dichiarato incostituzionale. Ma la partita non è chiusa. Ci sono ancora tentativi di imbrigliare la rete, con vari pretesti; e c’è chi da Washington briga a Bruxelles, per creare un "esempio" che possa essere re-importato. E ci sono, in America come in Europa, ricorrenti proposte di censura e controllo, compresa una recente ñ basata sul vecchio pretesto "terrorismo e bombe".

È vero che in solenni dichiarazioni l’Unione Europea ha promesso di proteggere e favorire la libertà della rete. Ma perfino nelle pieghe della Dichiarazione di Bonn si nascondono punti ambigui in fatto di libertà; e certe pressioni per una presunta "autoregolamentazione" (che non è affatto "auto", ma imposta dalle autorità politiche e amministrative, con la complicità di chi vuole compiacerle) nascondono trucchi pericolosi.

Siamo attenti ai "filtri", alle premurose "tate elettroniche" che vogliono proteggerci dalle possibili infezioni di una troppo libera navigazione nella pullulante biologia della rete. Se ognuno fosse libero di scegliere il software "protettivo" che vuole, secondo la sua cultura e le sue esigenze, sarebbero innocui (o quasi). Ma se (come si propone) saranno decisi da qualche "superiore autorità" e imposti tramite i provider, dalla "tutela degli indifesi" alla repressione di opinioni sgradite… il passo è breve.

È vero, infine, che non viviamo in uno di quei paesi (che sono tanti, e non tutti lontani) in cui per il solo fatto di collegarsi alla rete si rischia la galera, o peggio; e che una persona tecnicamente esperta potrà sempre trovare il modo per "bucare" i controlli, magari collegandosi dalla Moldavia con un’identità marziana. Ma non mi sembra ragionevole che la libertà nella rete sia il privilegio di pochi hacker (nel senso originario della parola) e che la stragrande maggioranza dell’umanità sia ricondotta all’ovile dell’informazione controllata e condizionata.

Proviamo a chiederci: chi ha voglia di reprimere?

Per cominciare: tutti i partiti politici, nessuno escluso, perché vedono male uno scambio di opinioni fuori dai canali noti e controllabili (e forse non hanno capito che nessuna forma di "democrazia elettronica" potrà mai sostituire la struttura necessaria della delega, che semmai è minata dalla meccanica superficiale del "comizio televisivo").

Non è il caso di fidarsi di chi parla di aiutarci o proteggerci. Grazie, no: non abbiamo alcun bisogno della loro protezione.

La tendenza di tutti i Poteri, e in particolare di quello politico, è trattare i cittadini come bambini sbrodoloni incapaci di gestirsi da soli.

Il rischio è che con la scusa di metterci il bavaglino finiscano col metterci il bavaglio.

E non si tratta solo dei Partiti… ho avuto modo di constatare che anche i Sindacati, nonostante alcuni interessanti tentativi di apertura, sono frenati da correnti interne incapaci di capire i valori della flessibilità e del telelavoro o di uscire dal tradizionale verticismo "tayloristico", impreparate a capire concretamente che cosa voglia dire mettere la telematica al servizio dei cittadini.

Poi… gli apparati e la burocrazia, perché non sopportano qualcosa che non sia assoggettato ai loro moduli, timbri, controlli, inghippi e vessazioni (compreso il baraccone di pseudo-garanzia nato dalla mal concepita legge sulla privacy , che può facilmente trasformarsi in uno strumento di repressione burocratica).

È vero che si parla di riforma dell’Amministrazione, di burocrazia al servizio dei cittadini e non viceversa; è vero che ci sono esempi positivi, come alcune Camere di Commercio e alcune amministrazioni locali; ma in generale, anche se queste "buone intenzioni" si realizzeranno, ci vorranno parecchi anni. Intanto rimane il pericolo che i peggiori comportamenti della burocrazia vengano a rendere la vita difficile non solo ai gestori di servizi in rete (specialmente i più piccoli e indipendenti) ma anche a tutti gli utenti.

C’è anche chi "vende sicurezza" , e ha tutto il diritto di fare il suo lavoro, ma spesso esagera nella diffusione di percezioni ossessive e terrificanti.

Credo che sia ovvio a tutti il livello di disinformazione, di "analfabetismo culturale", che spesso dimostrano ancora i "grandi mezzi" tradizionali (giornali, televisione, eccetera, per non parlare dei libri) quando si occupano della rete.

Proviamo a chiederci perché.

I proprietari di questi mezzi tradizionali temono che ci sia informazione fuori dal loro controllo e che il loro potere si indebolisca.

Si è scoperto anche che temono (assurdamente) di perdere denaro per la "concorrenza" della rete.

Alcuni di loro (su scala mondiale) stanno cercando di entrare nella rete e di ottenere posizioni di egemonia. Molti altri sanno che non riusciranno a farlo. I primi, se avessero una visione lucida, dovrebbero essere schierati dalla parte della libertà; ma anche a loro costa poco "accontentare" gli spaventati permettendo "lacci e lacciuoli" che poco nuocerebbero ai grandi operatori ma ingabbierebbero i piccoli.

Anche il mondo della "cultura" tradizionale, e tuttora imperante, dà spesso segni di oscurantismo. Molti "intellettuali", temono di perdere i loro privilegi come "maestri del pensare", come "emanatori" di conoscenza e di informazione.

Chi ha vera maestria e cultura non ha nulla da temere, perché anche in un incontro "da pari a pari" con chiunque di noi saprebbe guad
agnarsi il nostro rispetto e affermare la sua meritata autorità. Ma quanti, che imperversano dai talk show alle cattedre universitarie, saprebbero cavarsela davvero se scendessero dai loro scranni privilegiati e si mescolassero al "volgo"?

Provate ad ascoltare le cose che dicono personaggi "autorevoli" di ogni specie, che si erigono a esperti mentre se li si ascolta ci si accorge che non conoscono la differenza fra l’e-mail e un cd-rom.

I giornalisti… alcuni, è vero, conoscono bene la rete, non la temono e ne parlano in modo intelligente. Ma sono ancora una piccola minoranza.

Ricordo di aver partecipato a un convegno di giornalisti, al Circolo della Stampa a Milano, in cui si parlava della rete. Il terrore diffuso era palpabile.

Come sopravvivere in un mondo in cui i miei lettori possono controllare le mie fonti? Perderò il mio privilegio di "mediatore" dell’informazione? Dovrò ri-imparare daccapo il mio mestiere? Spero di svegliarmi domattina e scoprire che era solo un incubo.

Quei giornalisti che hanno capito, e quelli che capiranno, potranno non solo continuare a fare il loro mestiere, ma farlo molto meglio. Ma sono ancora molti quelli che hanno paura.

L’Unione Europea (nonostante le sue "dichiarazioni" in senso contrario) sta lavorando su una pazzesca congerie di norme, regole, controlli e censure.

Conosciamo almeno alcuni dei campi in cui intendono agire, dal controllo dei pagamenti tramite la rete (come se non fosse un problema già risolto) alla difesa del copyright (leggi interessi dei grossi produttori di software) alla lotta contro il "terrorismo in rete" (che sappiamo non essere un problema reale) alla "pornografia" (che abbiamo visto essere un pretesto per la c
ensura) alla difesa della privacy dei dati… quest’ultima una tesi sacrosanta, ma già abbiamo visto come sotto quella giusta bandiera si infilino meccanismi di burocratizzazione repressiva. Eccetera…

Ogni tanto si parla di "interessi economici". Secondo me è sbagliato pensare che tutti gli interessi economici e commerciali siano "nemici" della rete. Ci possono essere business che aiutano e sostengono la libertà della rete invece di ostacolarla.

Ma i "nemici" ci sono, e possono essere pericolosi. Alcuni grandi interessi economici (non tutti) temono di vedere il mercato aprirsi a piccoli operatori e temono di perdere le leve di controllo privilegiato che hanno attraverso i grandi canali di distribuzione, promozione e comunicazione.

Ho sentito "portavoce" di questi interessi dichiarare pubblicamente che la rete va imbrigliata, regolata, irreggimentata, prima che dia spazio (temibile ipotesi) a piccoli operatori che possano competere alla pari coi grandi, magari offrendo gli stessi prodotti a prezzi più bassi o con un servizio migliore.

Uno di loro, due anni fa, disse sogghignando "tanto entro sei mesi internet collasserà, e avrete bisogno di noi per rimetterla in piedi". Per fortuna, almeno finora, i fatti gli hanno dato torto. Se la rete ogni tanto si ingorga, non è certo per l’aumento della sua diffusione, ma per la congestione prodotta da un sovraccarico di cose inutili, come un eccesso di immagini e di animazioni. A salvarla potrà essere solo un progressivo ritorno di buon senso, sotto la pressione di chi della rete ha bisogno; comprese quelle grandi imprese che oggi la snobbano o la temono, ma presto o tardi ne scopriranno l’utilità.

Ci sono altri fenomeni che possono sembrare bizzarri ma non sono da sottovalutare.

Per esempio, i "vettori" tradizionali di informazioni e beni hanno tentato, in vari paesi, di far tassare la rete per renderla meno competitiva. Finora non ci sono riusciti, ma non è detto che non ci riprovino.

E poi… ci sono i "normomani".

Una certa specie di giuristi e legislatori, che in un paese già afflitto da 100.000 leggi più di quante ne servono vogliono continuamente accrescere l’intrico indecifrabile di leggi e norme (e carrozzoni vari che con la scusa di "controllare" fabbricano solo privilegi e corruzione) per un loro esclusivo quanto perverso interesse. Sono già riusciti a produrre alcune mostruosità giuridiche e temo che non abbiano finito.

Parte spesso da costoro il concetto di una società in pericolo, di una rete affollata di hacker e pirati, o peggio ancora (che cosa terribile!) di opinioni liberamente diffuse che danno voce anche alle minoranze, al dissenso, o comunque a quel "profano volgo" cui finora era solo consentito di inchinarsi tremante davanti al potere di chi tiene le chiavi della Legge (e dell’informazione).

Stiamo attenti… in tutto il mondo, ma specialmente in Italia, ci sono moltissime leggi che enunciano un principio e prescrivono tutt’altro. Come se la legge per la difesa dei bambini e dei deboli all’articolo 47/bis contenesse oscuri riferimenti che, una volta decodificati, prescrivono quante frustate deve ricevere un disobbediente. (Avevo scritto questo esempio, un anno fa, pensando che fosse del tutto immaginario; ma se guardiamo certe norme proposte per la "tutela dei minori" ci accorgiamo che la realtà supera la fantasia).

Ci sono anche, naturalmente, i grandi produttori di software, che furono gli ispiratori del demenziale crackdown del 1994 in Italia. Ma pare che abbiano capito l’inutilità di quelle operazioni intimidatorie, che alla fine si rivolgono a loro danno, e quindi oggi siano un po’ meno pericolosi, almeno per quanto riguarda sequestri e persecuzioni poliziesche; ma non sono certo finiti i loro tentativi di monopolizzare la rete e controllarne anche i contenuti.

Molti grandi ope
ratori stanno cercando di trasformare la rete in un grande spettacolo, una specie di Hollywood o Disneyland, piena di orpelli e scarsa di informazioni. Questo riporterebbe la rete, o parte di essa, a una brutta copia dei mezzi tradizionali, con tanti saluti all’interattività e al libero scambio di opinioni. Con un grande abuso di paroline di moda, come "multimediale" o "virtuale" o ciberchissàche, ci stanno rifilando cultura vecchia con un vestitino nuovo, spesso abbastanza goffo.

Trovo francamente insopportabili trasmissioni televisive, film dell’orrore o del "fumettismo" di basso livello fantascientifico, e tante altre forme di pseudocultura e culto dell’apparenza, che infestano giornali, riviste e libri, allontanando la percezione dai valori reali, umani, civili, sociali della rete.

E anche tutto questo straparlare di "Internet" (inteso come un repertorio di testi e immagini da "esplorare" con un browser) quando una realtà portante del sistema sono, e soprattutto saranno, le comunità umane in tutte le loro forme, compresi i BBS e i community network .

Stranamente quelle che temo meno (spero di non sbagliarmi) sono le "Forze dell’Ordine", perché è "di pubblico dominio" che la Polizia ha la rete sotto controllo da anni, la conosce benissimo e non la teme; quindi non ha alcun interesse a "reprimerla" se non riceve qualche direttiva pilotata da altri interessi. O almeno così credevo. Ma ora si sta scatenando una specie di "gara" fra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, con una tendenza a vedere o inventare pericoli un po’ dovunque per dimostrare la propria capacità nella scoperta e repressione di "crimini" così moderni, affascinanti e incomprensibili a gran parte dell’opinione pubblica e delle "autorità costituite".

E, anche qui, ci sono pressioni internazionali; compresi sistemi già funzionanti (ma di cui si parla poco) capaci non solo di intercettare le comunicazioni in rete senza bisogno di alcuna autorizzazione della magistratura, ma anche di pilotare le intercettazioni in base ai contenuti. Sarebbe veramente stupido un criminale, un terrorista o una spia che usasse per i suoi maneggi un mezzo così facilmente controllabile dalle polizie e dai servizi segreti di mezzo mondo; che fanno tutto il possibile per bloccare l’uso della crittografia, non perché se ne servano i criminali (che hanno altri metodi per non farsi intercettare) ma perché potrebbe ostacolare la &quo
t;sorveglianza" su cittadini incensurati e insospettabili.

Per quanto riguarda l’opinione pubblica, non facciamoci illusioni. Con la disinformazione che c’è in giro, la maggior parte dei cittadini potrebbe vedere di buon occhio qualche "controllo" su questa misteriosa macchina divoratrice di cervelli che manda in paranoia i bambini e diffonde pornografia, pedofilia, anomalia, pirateria, indisciplina, criminalità, disumanizzazione, alienazione, ossessione, e chissà quali diavolerie tecnologico-fantascientifiche.

Forse nessuna di queste "forze ostili", da sola, è in grado di limitare davvero la libertà delle reti, così molteplici e proteiformi; e anche (speriamo) difese da interessi più lungimiranti, che della loro autonomia capiscono il valore e il potenziale.

Ma le varie spinte repressive possono allearsi e combinarsi, anche in modi imprevedibili. E possono trovare un "collante" nella più spaventosa forza distruttiva che sia mai esistita: lo smisurato potere della stupidità umana.

In conclusione… è meglio stare in guardia. La strada per arrivare a un’autentica cultura e libertà delle reti (al plurale: più sono, meglio stiamo) è ancora lunga e piena di ostacoli.

Per altri scritti sullo stesso argomento:
http://gandalf.it/free/

Isterismo in Gran Bretagna minaccia la libertà di parola in rete

http://www.nexus.it/alcei/ita/iniziati/alert02.htm

Isterismo in Gran Bretagna minaccia
la libertà di parola in rete
Nel numero del 25 agosto del settimanale "Observer" è apparso, con titolo in prima pagina, un servizio senzazionalistico sulla pornografia infantile nell'Internet, in cui si accusavano falsamente due Internet Service Provider, Clive Feather di Demon UK (un provider a servizio completo) e Johan Helsingius dell'anon.penet.fi (un "anonymous remailer") di essere coinvolti nella distribuzione di materiale pornografico. Perché queste accuse? Demon UK aveva rifiutato di eliminare una serie di newsgroup di argomento sessuale, che erano stati identificati dalle autorità britanniche come possibili fonti di pornografia infantile; anon.penet.fi era stata identificata, senza alcuna prova di tale arbitraria affermazione, come una fonte del "90% della pornografia infantile nell'internet".

In realtà Demon UK semplicemente accettava il fatto che gli Internet Service Provider (ISP) non possono controllare i dati che attraversano i loro sistemi, o assumere la responsabilità del loro contenuto, più di quanto il servizio postale possa essere responsabile di ciò che viene spedito con la posta tradizionale.

E Helsingius, contrariamente a ciò che affermava l'Observer, da molto tempo aveva limitato la dimensione dei file che si potevano trasmettere attraverso anon.penet.fi, così eliminando la possibilità che si potessero scambiare file binari contenenti immagini.

Questo caso è estremo, ma non mancano i precedenti: molto è stato scritto tentando di associare l'Internet con coloro che producono e distribuiscono pornografia infantile, e ci sono stati molti tentativi di considerare gli ISP responsabili per contenuti criticabili o illegali.

Gli ISP non sono fornitori di contenuti; trasmettono contenuti forniti dai loro utenti. È estraneo al ruolo del provider verificare, controllare o tentare di togliere contenuti che possono suscitare obiezioni. Il fatto è che ogni tentativo da parte di un ISP di bloccare un particolare tipo di contenuti sarebbe alla fine inutile, perché i fornitori di quei contenuti troverebbero semplicemente altri canali di distribuzione.

Inoltre, è un errore pensare che l'Internet non abbia regole, e sia favorevole allo scambio di materiali inopportuni. Il fatto è che l'Internet è una "comunità virtuale" di utenti con una propria cultura, che comprende molte opinioni diverse ma trova consenso in una forte opposizione allo sfruttamento dei bambini; infatti molti utenti Internet hanno collaborato ad attività intese a identificare chi produce e distribuisce pornografia infantile.

Sommario:
La violenza contro i bambini, e il loro sfruttamento, sono problemi reali che richiedono una risposta attiva; ma rifiutiamo energicamente ogni tentativo di limitare il libero e aperto scambio di informazioni nell'Internet nella falsa convinzione che restrizioni del flusso di informazioni possano proteggere i bambini contro gli abusi. Appoggiamo Demon UK ed anon.penet.fi (che Helsingius ha chiuso), e deploriamo il tentativo diffamatorio dell'Observer di far apparire rispettabili provider Internet come la "causa" di un problema del quale non hanno alcuna responsabilità.

Il servizio dell'Observer non è il primo del suo genere: è un esempio di una continua confusione di idee su un nuovo e complesso mezzo di comunicazione. Purtroppo questo malinteso è divenuto un problema mondiale, rappresentato da norme restrittive attuate o proposte, oltre che da informazioni errate diffuse dalla stampa.

L'Internet può essere definito con queste analogie:

* L'Internet è un vasto sistema di corrispondenza, come un servizio postale.
Sareste in favore di una legge che obbligasse le autorità postali ad aprire ogni busta e controllare l'accettabilità del contenuto?

* L'Internet è un'immensa biblioteca.
Sareste in favore di una legge che limiti le informazioni fornite dalle biblioteche?

* L'Internet è formata da un gran numero di comunità virtuali.
Sareste in favore di una legge che ordinasse sistematiche perquisizioni nella vostra comunità?

La nostra posizione:
Misure come queste legherebbero le mani a tutti per i misfatti di pochi. È molto più ragionevole identificare e affrontare le fonti della pornografia infantile che impedire il flusso di dati nell'Internet. L'imposizione di censure e di ulteriori restrizioni agli ISP non risolverebbe il problema esistente, ma creerebbe un nuovo problema, una barriera al libero e democratico scambio di idee.

Per contatti stampa, e per ulteriori informazioni sull'Internet, vedi le homepage delle organizzazioni che firmano questo messaggio:

ALCEI - Electronic Frontiers Italy

* http://www.nexus.it/alcei

American Civil Liberties Union (ACLU)

* http://www.aclu.org/

CITADEL-Electronic Frontier France

* http://www.imaginet.fr/~mose/citadel/

CommUnity (UK)

* http://www.community.org.uk/

EFF (USA)

* http://www.eff.org/

EFF-Austin (USA)

* http://www.eff-austin.org/

Electronic Frontier Canada

* http://www.efc.ca/

Electronic Frontiers Australia

* http://www.efa.org.au/

Electronic Frontiers Houston (USA)

* http://www.efh.org/

Elektronisk Forpost Norge (Electronic Frontier Norway)

* http://www.sn.no/~efn/

Fronteras Electronicas España (Electronic Frontiers Spain)

* http://www.lander.es/~jlmartin/

HotWired

* http://www.hotwired.com/

A proposito di data retention

http://www.gandalf.it/free/dataret.htm

Ambiguità e pericoli
della prevenzione

Comunicato di ALCEI – 24 gennaio 2004



C’è diffusa preoccupazione per le conseguenze del decreto legge 534 (emanato dal governo italiano il 24 dicembre 2003) che stabilisce, a carico dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, l’obbligo di conservazione fino a cinque anni dei dati di traffico dei servizi telefonici e internet trattati per finalità di fatturazione, ma utilizzabili per ispezione da parte di magistrati inquirenti, forze di polizia o altre funzioni di stato.

Il problema era stato segnalato da ALCEI nel suo comunicato del 23 dicembre 2003 La conservazione indiscriminata del traffico internet non serve ad arrestare i criminali e minaccia la libertà di imprese e cittadini – e ha poi dato luogo a vari rilievi e molteplici discussioni non solo in Italia, ma anche in ambito internazionale, dove il tema della data retention è oggetto da tempo di dibattiti e polemiche, per lo più in relazione a problemi di privacy.

Il tema merita un ulteriore approfondimento – e va collocato in una prospettiva più ampia, di cui questo è solo un episodio.

Quel decreto legge è nato, quasi casualmente, per l’affrettata decisione di modificare le conseguenze di un precedente decreto legislativo (il 196 del luglio 2003 – Testo Unico sul trattamento dei dati personali) che, per motivi di privacy, aveva disposto (peraltro con varie eccezioni) l’eliminazione dei dati archiviati dopo trenta mesi.

Il testo del nuovo decreto legge è confuso, disordinato e poco chiaro – ma nella sostanza non modifica lo stato di fatto precedente, se non per un allungamento obbligatorio del tempo di conservazione dei dati.

Il decreto legge, preso in sé, (e nell’ipotesi che rimanga tal quale e sia applicato con “buone intenzioni”) non è più preoccupante o vessatorio di altri provvedimenti emanati o in corso di emanazione sulle attività in rete. Ma se lo si osserva nel contesto, cioè nel processo di continua erosione dei diritti civili da tempo in atto, si rivela come ennesimo sintomo di un problema più generale – che non riguarda solo l’Italia.

Quando si parla di data retention i termini del dibattito si riassumono quasi sempre nel contrasto fra sostenitori della privacy e organismi investigativi. Se ci si limita a questo tema (importante, ma non l’unico né il principale) si perdono di vista sia i pericoli per altri, e non meno rilevanti, diritti individuali, sia il quadro più generale del rapporto fra dovere di protezione da parte dello Stato e rispetto dei diritti civili.

In particolare, sta emergendo prepotentemente la tendenza (già da molto tempo sviluppata in pratica, ma non ancora formalmente codificata) a trasformare il criterio di responsabilità dalla sanzione degli effetti di un comportamento a punizione di uno “status” considerato a priori come colpevole.

Cioè il concetto, in sé legittimo e corretto, di prevenzione si trasforma in sanzione arbitraria contro categorie, reali o immaginarie, di “presunti trasgressori”.

Non c’è dunque, il responsabile di un furto, ma “il ladro”. Non l’autore di un accesso abusivo a una rete, ma “il pirata” (definizione impropria e bizzarramente applicata anche ad attività, illecite o non, che nulla hanno a che vedere con omicidi, ladrocini ed estorsioni). Non «il soggetto che detiene immagini pornografiche prodotte mediante lo sfruttamento sessuale dei minori», ma “il pedofilo”.

In altri termini, si creano “modelli criminali” che vanno puniti non per quello che fanno, ma per quello che sono, o, meglio, che potrebbero essere. Senza nemmeno bisogno che il “modello” compia concretamente un atto illecito.

È evidente che queste definizioni, sostanzialmente vaghe, approssimate e arbitrarie, permettono a chiunque abbia poteri di controllo e sanzione di perseguitare, con una varietà di pretesti, chiunque sia sgradito, dissenziente o scomodo.

Il quadro, ovviamente, si aggrava in presenza di un problema drammatico e preoccupante come il terrorismo. Che mette in evidenza la necessità di una intelligente prevenzione – quanto la necessità (funzionale oltre che etica) di non scatenare arbitrarie e pericolose cacce alle streghe, di non cadere in “categorizzazioni” improprie – e di non intaccare, con il pretesto della minaccia terrorista, quei diritti umani e civili, e quelle libertà personali, di cui ci si dichiara difensori.

In questo contesto, la data retention (insieme ai criteri, inevitabilmente arbitrari, di analisi e classificazione dei contenuti) gioca un ruolo essenziale perché consente di creare tanti “modelli comportamentali” quante sono le necessità di chi indaga – come di chiunque altro, per qualsiasi altro motivo, ha accesso ai dati. E per di più, considerato che una conservazione generalizzata dei dati di traffico è estremamente onerosa sia dal punto di vista tecnico, sia da quello economico-gestionale, non è improbabile che si debba operare una scelta sui soggetti il cui traffico dovrà essere conservato. Aprendo così la strada a schedature di massa delle persone “sgradite” al potere. Che già esiste – ma con più massicce risorse tecniche non solo può essere enormemente potenziata, ma può anche creare infinite complicazioni per le inevitabili imperfezioni e arbitrarietà degli automatismi.

Sappiamo, per esperienza pratica, che la “profilazione” a fini commerciali funziona malissimo ed è molto meno efficace di altre, più civili, forme di dialogo e scelta degli interlocutori. Ma la leggenda, diffusa ad arte dai mercanti di dati, della sua efficacia ha prodotto non solo un comprensibile allarme, ma un esagerato allarmismo – per cui se da un lato si tenta di limitare la “profilazione” come strumento commerciale, dall’altro si immagina che sia uno strumento utile per le indagini – o per altri controlli e manipolazioni, tutt’altro che trasparenti e legittime, da parte dei centri di potere.

Con l’uso di strumenti inaffidabili quanto manipolabili si sviluppano indagini e processi (oltre a molte forme non giudiziarie di persecuzione) contro “identità virtuali” che possono facilmente essere create ad hoc secondo ogni sorta di pregiudizi o di intenzioni persecutorie. Con l’aggravante che le vittime non sanno come difendersi perché l’indagine “è fatta con il computer” e perché non c’è modo di sapere come siano stati generati i dati.

Così il mito di “infallibilità della macchina” si incrocia con una forma di “neo lombrosismo” che permette di creare ad libitum categorie di presunti “criminali tendenziali” o “tipologie predisposte” in cui può essere compresa qualsiasi persona, o categoria di persone, sia considerata scomoda o fastidiosa. Una specie di pogrom istituzionalizzato, senza neppure la trasparenza e la visibilità di un pregiudizio etnico o culturale pubblicamente dichiarato.

Inoltre, in ogni indagine “automatizzata” possono nascondersi pericoli di varia specie. Criteri impropri o arbitrari possono essere inseriti nel sistema in modo occulto e difficilmente rilevabile – e altrettanto “invisibili” distorsioni possono derivare dall’imperizia, o dall’intenzionale deformazione, di un operatore.

Una somma di intenzionali persecuzioni e di involontari errori (e con infinite complicazioni derivanti dalla “convergenza” dei due fattori) può produrre conseguenze così vaste e complesse che è preoccupante anche solo immaginarle.

Su questo tema dovremo ritornare, in una prospettiva piùestesa. Ma intanto, e come provvisoria conclusione, ritorniamo al caso specifico di questo decreto legge. È vero che si parla, nel decreto, di procedure “garantiste” sulla conservazione sull’accesso ai dati di traffico, ma senza alcuna chiara indicazione di come debbano essere realizzate. Per di più, se la creazione dei dati di traffico è intenzionalmente truccata, o casualmente inesatta, conservarli “correttamente” significa solo conservare sistematicamente dati sbagliati. E chiunque abbia un po’ di competenza in fatto di elaborazione elettronica sa che questo non è solo possibile, ma piuttosto frequente.

Insomma la necessità di sorveglianza per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali non riguarda solo la privacy. E va molto oltre il caso specifico di questo mal concepito decreto legge, che è solo un episodio di una serie lunga nel tempo, che tende continuamente a peggiorare.

La legge 269/98: lati oscuri e contributi

http://www.penale.it/page.asp?mode=1&IDPag=279

La legge del 1998 n.269, contro lo sfruttamento sessuale dei minori, viene riformata dalla legge n.38 del 06 febbraio 2006 rubricata "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo di Internet". Da poco entrata in vigore, G.U. 15.02.06, è già sottoaccusa come testo normativo incivile colpevole di peggiorare una legge già di per sè pessima (Comunicato ALCEI 13.02.06).

Comprendere l'innovazione legislativa e la necessità di un nuovo intervento in materia non può prescindere da una dettagliata analisi sul come la previgente normativa, da molti fortemente criticata, ha trovato comunque applicazione nel sistema.

La legge n.269/98, è scaturita dall'impegno assunto dall'Italia con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, del 20.11.89, ratificata in Italia con legge del 25.05.91, n.176. Si trattava di una prima vittoria a favore del minore protetto da ogni forma di sfruttamento a suo danno, codificando in ben 19 articoli una necessaria quanto mai sperata tutela per quella dignità personale e libertà sessuale da sempre negata dai perversi "bisogni" degli adulti. Certo le vaghezze di alcuni concetti normativi e le difficoltà applicative degli stessi, così prestandosi alle più fantasiose interpretazioni, portarono ben presto ad una serie di critiche e dubbi di legittimità Costituzionale. Dei meriti devono comunque essere riconosciuti, primo fra tutti, quello di aver introdotto nuove ed autonome figure delittuose contro la prostituzione e la pornografia minorile, considerando che, in precedenza, la minore età della vittima di sfruttamento sessuale costituiva semplicemente una aggravante del reato di violenza sessuale di cui all'art.609bis c.p. Colonne portanti, a tutela dell'integrità e della libertà psico-fisica del minore, sono l'art.600bis, con il quale viene incriminato l'esercizio della prostituzione, il cui aspetto saliente della norma consiste nella circostanza che la punizione si estende anche alla domanda e non solo all'offerta; nonché l'innovativo art.600quinquies che punisce tutte quelle iniziative turistiche finalizzate alla fruizione di attività di prostituzione minorile. Quest'ultimo nasce in seguito all'accertata vastità e gravità del fenomeno, nonché, dall'esigenza di offrire una speciale tutela ai diritti del fanciullo avvertita da tutto il mondo che ha partecipato e cooperato nella lotta all'abuso attraverso Convenzioni internazionali e legislazioni nazionali. La variabile Internet svolge un ruolo sconcertante nell'ambito del fenomeno, contribuendo a limitare i rischi di essere scoperti ed arrestati nell'acquisto dei "virtuali viaggi organizzati" per fruire di reali prestazioni sessuali in lontani paesi esotici; espatrio anch'esso colpevole, nel garantire una maggiore immunità legata all'anonimato e all'inesistenza di un’adeguata legislazione nel paese di destinazione. Grazie alla legge del 1998/269, il turista italiano denunciato per pedofilia all'estero è perseguito anche dalla legge italiana oltre che da quella del paese in cui è stato denunciato, in deroga al principio generale della territorialità della legge penale che, appunto, non opera per le fattispecie di cui agli artt. 600bis, 600ter, 600quater, 600quinquies c.p. Una più incisiva tutela è prevista dall'art.16 della citata legge, recante "comunicazioni agli utenti", che pone obblighi informativi a carico degli operatori turistici che organizzano, sia nei modi convenzionali che per via telematica, viaggi collettivi o individuali nei paesi esteri. L'operatore turistico ha l'obbligo di inserire l'avvertenza di legge della pena della reclusione per i reati in esame, anche se commessi all'estero, nei materiali propagandistici, nei cataloghi e nei documenti di viaggio individuali. Comunemente si parla del cosiddetto "codice di condotta", che tutela anche l'operatore turistico che non intende organizzare né agevolare in alcun modo il turismo sessuale. Senza voler tralasciare ulteriori modificazioni ed innovazioni apportate al codice penale e di rito si ricorda l'introduzione di più efficaci strumenti processuali quali: l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza previsto per un maggior numero di reati rispetto al passato, l'ammissibilità delle intercettazioni di conversazioni e di ogni forma di comunicazione senza eccessivi ed infruttuosi limiti burocratici. Ulteriori mezzi di contrasto, previsti dall'art.14, sono attribuiti alla polizia giudiziaria e alla polizia delle telecomunicazione, quest'ultima competente per i su menzionati reati commessi per mezzo di Internet come: l'acquisto simulato di materiale pedopornografico, l'apertura di siti Internet di copertura, normativizzando per la prima volta la c.d. "trappola informatica" per adescare pedofili tramite l'offerta di illecite proposte sia pur fittizie. Inoltre, tipica, la figura dell'agente undercovering infiltrato nelle varie chat-line spacciandosi ora per pedofilo ora per bambino sempre al fine dell'adescamento.

FRAINTENDIMENTI E CONTRASTI CON I PRINCIPI COSTITUZIONALI (L.269/98)

Tuttavia il problema fondamentale, ruota intorno all'infelice formulazione dell'art. 600ter e in particolare dell'art. 600quater c.p.

Il primo prevede ed incrimina diverse condotte legate allo sfruttamento della pornografia minorile: dalla realizzazione di esibizioni pornografiche o produzione di detto materiale, al commercio o distribuzione, divulgazione e pubblicizzazione di materiale o informazioni di tipo pedopornografico; articolo che conclude con il richiamo della cessione consapevole e a titolo gratuito del materiale incriminante, spesso trattasi di produzioni amatoriali realizzate dai soggetti coinvolti. Innanzitutto che cosa si intende per pornografia infantile? Quando una persona può essere incriminata a norma del primo comma dell'articolo in commento? Orbene, l'unione Europea, con l'approvazione della decisione quadro 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003, detta alcune regole per una più efficace cooperazione tra gli Stati nella lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, definendo all'articolo 1 la pornografia infantile. Si tratta di materiale pornografico che ritrae o rappresenta visivamente:

A) Un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l'esibizione lasciva dei genitali o dell'area pubica;

B) Una persona reale che sembra essere un bambino implicata o coinvolta in una condotta sessuale. Qui sorge il primo dubbio, come può essere incriminato un soggetto, del reato di cui trattasi, che richiede specificatamente lo sfruttamento dei minori per realizzare materiale "pedopornografico" se poi si è condannati per essere semplicemente coinvolti con una persona che sembra essere un bambino, atteso che nel nostro ordinamento è lecita la pornografia stante la sua differenziazione da quella pedopornografia? Fortunatamente, al nr.2 dell'art.3, si specifica che lo Stato può prevedere che esulino dalla responsabilità penale le condotte connesse con la pornografia infantile, in cui la persona che sembra essere un minore in realtà è maggiore degli anni diciotto al momento del fatto. Ma allora che necessità c'era di una simile disposizione che risulta essere solamente forviante! Se si tratta di un minore la macchina della giustizia si metterà in moto, in osservanza della norma in commento, diversamente il problema non si pone, e certamente ciò non serve a far comprendere che cosa si intenda per pornografia minorile, cosa si ricomprende e cosa esula da tale nozione.

C) Infine, immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto in una condotta sessuale. Anche in quest'ultima ipotesi si rende opportuno un chiarimento: la condotta in esame non rientra nella previsione di cui al primo comma dell'art.600ter c.p., per il semplice motivo che, il legislatore, richiede lo "sfruttamento" del minore per realizzare esibizioni o produzioni di natura pornografica. Trattandosi di immagini di bambini "inesistenti", risulta addirittura difficoltoso considerarle realistiche, in quanto riproduzioni virtuali, come accade al cinema nella realizzazione al computer di scene ed immagini dei films attraverso l'estrinsecazione di quel processo mentale del regista. Tanto è vero che, la lettera c dell'art. 3, punisce la diffusione di detto materiale e non il possesso a uso personale. All'uopo, si ricorda, una sentenza della Suprema Corte, sent. n.13 del 05.07.2000, che stabilisce il concreto pericolo di diffusione, indipendentemente dall'esistenza del fine lucrativo, del materiale incriminante, anticipando la tutela penale della libertà sessuale dei minori a tutte quelle condotte ritenute prodromiche del delitto di pedofilia considerato come reato di pericolo concreto. In Italia, nel concetto di pornografia minorile rientrano tutte quelle rappresentazioni di immagini e scene che richiamano un rapporto sessuale tra un adulto ed un minore, nonché gli atti di libidine e qualsiasivoglia situazione di tipo erotizzante, rappresentazioni sia video sia fotografiche che virtuali. Definizione, si premette, che è bene memorizzare se si considerano le innumerevoli difficoltà interpretative alle quali si è prestato l'art.600quater all'atto applicativo. Il problema consiste nell'indiscriminato trattamento sanzionatorio tra chi detiene il materiale per fini vietati dalla norma, da chi trovato in possesso di detto materiale per semplice curiosità. Ciò risulterebbe, a prima vista, incompatibile con il principio di offensività, il quale richiede che la condotta dell'agente sia idonea a ledere o porre in pericolo un qualche bene giuridico, posto che nel caso di detenzione il comportamento esaurisce la sua efficacia nella sola sfera privata dell'agente. Si deve allora ritenere che il delitto in esame rientra tra i c.d. delitti di scopo dove, non si incrimina l'offesa ad un bene giuridico, che tra l'altro manca, ma certe situazioni o condotte che lo Stato ha interesse a prevenire il loro verificarsi, una sorta di "processo all'intenzione". Assurdo! Se si considera che anche in presenza di una piena assoluzione sul piano giuridico, a ciò non corrisponde una analoga convinzione a livello sociale in cui il soggetto oramai etichettato come pedofilo sarà marginalizzato a causa del continuo sospetto di una sua colpevolezza. Il tutto, per un errore giudiziario dovuto alla mancanza di discrete indagini preliminari, o legato ad erronee interpretazioni di una norma poco chiara, o di un potere giudiziario esercitato in modo troppo discrezionale.

E' il caso di una persona, indagata per il delitto di cui all'art.600ter, terzo comma c.p., sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per aver, attraverso Internet, distribuito materiale fotografico avente ad oggetto minori ritratti nudi. In realtà si trattava della propria figlia la cui foto era stata inviata via e-mail alla nonna. In questo caso mancava, tra l'altro, il presupposto legale della divulgazione o distribuzione ad un numero indeterminato di persone al fine dell'esistenza del reato de quo, in conformità delle diverse pronunce della Suprema Corte in materia.

Con ciò non si vuole giustificare il comportamento parafilico di determinati soggetti e, negare al contempo, una repressione degli stessi e una penetrante tutela per i minori, semplicemente si vuole evitare il rischio che milioni di persone possano essere limitati della loro libertà, privata del rispetto sociale e della dignità personale senza un giustificato motivo. E' facile commettere degli errori, il difficile è riconoscerli e spesso un risarcimento non è sufficiente.

LA RIFORMA DELLA L. 38/06. COSA CAMBIA.

Cosa cambia con la nuova legge? Il legislatore è riuscito a superare tali ostacoli?

L'iter legislativo che ha portato all'attuale testo normativo è ricco di proposte di legge. Per ragioni di sintesi si citano i due disegni di legge più significativi. Il primo, è identificato come atto della Camera n.2415, presentato il 26 febbraio 2002, ed assorbito, tra molti altri, dall'atto c.4599 il 15 giugno 2005; al quale segue l'atto del Senato n.3503, ancora in stato di relazione in data 13 dicembre 2005 e successivamente sfociato nell'attuale testo normativo.

Si ritiene che in relazione a fenomeni profondamente radicati sia infruttuoso intervenire, in primis, per una definitiva eliminazione degli stessi. A sostegno di quanto detto si reputa maggiormente proficuo un tipo d’intervento mirante a circoscriverli al fine di indebolirli e successivamente, semmai fosse possibile, soffocarli totalmente. Nell'eventuale impossibilità di una definitiva scomparsa avremmo comunque ottenuto un soddisfacente successo, rendendoli quasi privi di forza. Dalla nuova legge possano attendersi notevoli risultati, a discapito delle critiche che già ha sollevato, quantomeno in relazione ai soggetti coinvolti nella lotta alla pedofilia, in numero e con compiti maggiori rispetto al passato. Tuttavia non mancano alcune lacune e contrasti interpretativi che con le modifiche introdotte dalla nuova legge, si sperava, avrebbero dovuto colmare e chiarire. Entrando nel merito della discussione, al capo II rubricato "Norme contro la pedopornografia a mezzo Internet", l'art.19 inserisce una serie di nuovi articoli alla modificata legge tra i quali: l'art.14bis prevede l'istituzione presso il ministero dell'interno del centro nazionale per il contrasto della pedopornografia in rete, con il compito di monitorare quei siti-web che diffondono detto materiale e raccogliere le relative segnalazioni provenienti anche da autorità straniere. All'obbligo di segnalazione al "centro" (art.14ter) sull'andamento del fenomeno in rete, sono tenuti i fornitori di connettività ad Internet, qualora vengano a conoscenza di attività illecite volte alla diffusione e commercializzazione di materiale pedopornografico; nonché l'obbligo di utilizzare strumenti di filtraggio ed ogni altra innovazione tecnologica al fine di impedire l'accesso ai siti segnalati e vietati dal centro (art.14quater). In realtà, già dal 1997, i Ministri delle Telecomunicazioni dei 15 paesi dell'Unione Europea avevano approvato un codice di condotta per regolarizzare l'uso di Internet prevedendo, tra l'altro, dei meccanismi di filtraggio e degli speciali selettori in grado di rilevare ed oscurare quei siti contenenti materiale incriminante. Questo sistema prevede che una apposita agenzia, secondo una propria tabella a punti, rilasci delle etichette P.I.C.S. ( Platform for Internet Content Selection) a quei siti che, in base al punteggio raggiunto non siano considerati pericolosi ed illegali. Inoltre, nel computer verrebbe istallato uno specifico software che è in grado di leggere queste indicazioni ed escludere i siti pericolosi dove "piccoli" navigatori potrebbero inconsapevolmente accedervi. Il problema di fondo è che si tratta di un progetto impossibile da realizzare se si considerano che le differenze culturali e giuridiche di ogni nazione ostacolano una totale adesione dei paesi membri; ciò che per noi può essere censurato perchè illecito in un altro paese può essere tutelato perchè lecito e possibile. Il problema oggi non dovrebbe porsi in tali termini perchè, gli strumenti di filtraggio previsti dalla legge n.38/06 consentono di rilevare quei siti vietati per contenuto dal centro ed "impedirne l'accesso" e non oscurandoli. Ciò significherebbe che il sito può essere "letto" da chiunque vi acceda da qualsiasi parte del mondo, ma in Italia ai minori ne è ostacolato l'accesso in seguito alle segnalazioni e alle relative protezioni istallate nei propri computers. L'ulteriore onere, previsto per i fornitori di connettività alla rete Internet, e quello di conservare le informazioni raccolte per almeno 45 giorni, termine riduttivo se si pensa alla richiesta di 5 fino a 10 anni presente nelle precedenti proposte di legge (es. disegno di legge n.2683 e n.3398). Tra le iniziative finalizzate ad impedire il commercio del materiale incriminante in rete, assumono particolare rilievo le misure finanziarie di cui all'art.14quinquies: le segnalazioni raccolte dal centro e relative ai soggetti che acquistano e diffondono detto materiale in rete, vengono trasmesse all'Ufficio italiano dei cambi. L'UIC, a sua volta, comunica alle banche e a tutti gli istituti che prestano servizi di pagamento che i titolari delle carte di credito da loro emesse vengono di fatto utilizzate per l'acquisto di prodotti pedopornografici in Internet o su altre reti di comunicazioni; ciò comporta la revoca dell'autorizzazione all'utilizzo della carta di credito e la risoluzione di diritto dei contratti stipulati con gli enti finanziari su menzionati. Da ultimo, è prevista l'istituzione di un Osservatorio, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il contrasto della pedofilia con il compito di acquisire e monitorare i dati e le informazioni relative alle attività svolte da tutte le amministrazioni per la prevenzione e la repressione della pedofilia. A tal fine in ogni Osservatorio è istituita una banca dati per raccogliere dette informazioni utili per il monitoraggio del fenomeno. La legislazione interna sembrerebbe tendente ad uniformarsi agli interventi normativi, in materia, adottati da altre nazioni; ciò, evidentemente, a sostegno degli effetti positivi che in altri paesi hanno già prodotto. In tal senso in Inghilterra, contro la pedofilia on-line, è stato istituito un pool di esperti denominato Virtual Global Taskforce, con il compito di monitorare la rete e indagare sui siti, newsgroup e chat rooms. Si tratta di un importante intervento, dopo l'annuncio della British Telecom di bloccare tutti quei siti che praticano la pedofilia o pornografia minorile in rete. Un ultimo intervento previsto per la lotta in rete della pedofilia è la creazione di una Black-List per le carte di credito di quei proprietari scoperti nell'atto di acquisti di materiale pedopornografico.

ALTRE MODIFICHE: ESTENSIONE DELLA PROTEZIONE, INASPRIMENTO DELLE PENE. NUOVI CONTRASTI COSTITUZIONALI E VECCHIE OMBRE.

Nel proseguo dell'analisi dell'attuale normativa salta subito agli occhi il profondo accanimento contro gli autori di violenze sessuali sui minori, il grave trattamento sanzionatorio dall'evidente inasprimento delle pene, sino ai due terzi, all'esclusione di alcuni benefici di legge quale il c.d. "patteggiamento" per il delitto di sfruttamento sessuale, nonchè la pena accessoria dell'interdizione perpetua dall'attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private e negli uffici o servizi in istituzioni o strutture frequentate prevalentemente dai minori (600septies c.p.). Quest'ultima trova applicazione anche nel caso in cui la pena complessivamente inflitta sia inferiore ai tre anni (es. per petteggiamento), superando il vecchio ed odioso ostacolo del limite edittale che diversamente avrebbe consentito a chiunque, espiata la mite pena, di riprendere l'insegnamento, quotidianamente a contatto con i minori e con l'allarmante rischio di recidiva che caratterizza tali soggetti. A parte ipotesi di confisca dei beni ai fini del risarcimento ed alcune preclusioni di legge contemplate nel testo previgente, tutto ciò che oggi si apprende dal nuovo testo è frutto di anni di discussione e innovazioni parlamentari. In realtà il legislatore sembra aver perseguito l’intento di frenare, da un lato, le inaccettabili manifestazioni perverse verso i minori sperando che, condanne così cruenti, costituiscano un efficace deterrente; dall’altro, novità della legge, ha esteso l’esigenza di tutela del minore sino al compimento del suo diciottesimo anno di età. In precedenza l’agente veniva punito qualora la vittima fosse stata minore degli anni 14, o degli anni 16 quando vi fosse stato abuso di rapporti di parentela o di altri rapporti assimilati, fissando l’età del consenso in materia sessuale, appunto, ai 14 anni salvo particolari ipotesi. L’estensione della protezione sino al compimento del diciottesimo anno di età, costituisce un’innovazione apprezzabile se si considera che spesso i minori sono vittime di abusi intrafamiliari dove risulta quasi impossibile sfuggire per paura o per vergogna, e dove, qualunque sia l’età della persona lesa purché minore, risulta necessario tutelare il corretto sviluppo della personalità sessuale dello stesso. Notevole importanza riveste l'attuale formulazione del primo comma dell'art. 600ter, in particolare la sostituzione del previgente termine "sfruttare" con la nozione "utilizzare" minori degli anni 18. In precedenza all'agente veniva richiesto dalla norma una condotta tipica caratterizzata dall'esistenza del dolo specifico, ossia, il minore doveva essere sfruttato e non semplicemente utilizzato. In altri termini ciò significava l'inserimento del minore in un’attività non occasionale finalizzata alla esibizione e produzione di materiale pedopornografico con lo scopo di trarre un’utilità in generale e non necessariamente di tipo lucrativa. A quest'ultima interpretazione era giunta la Suprema Corte a sezioni unite in seguito ai continui contrasti interpretativi segnando, ancora una volta, un punto a favore del minore che diversamente avrebbe subito un’ulteriore violenza nel vedere sottoporre ad un trattamento mite chi, dopo averlo sfruttato e impiegato come mezzo nella produzione di materiale pornografico, detto prodotto non essendo poi venduto ne ceduto gratuitamente, al fine della configurabilità della più lieve ipotesi di cui al quarto comma art.600ter, veniva accusato di semplice detenzione...forse! (art. 600quater c.p.). Si può supporre che tale pronuncia sia il precedente dal quale l'odierna norma scaturisce. Utilizzare il minore attraverso le diverse modalità d’impiego al quale lo stesso si può prestare, ovviamente richiamando l'attenzione sull'aspetto sessuale ed in modo tale che la sua libertà psico-fisica sia completamente o notevolmente compromessa, è la condotta richiesta per integrare il reato; non più dolo specifico ma un comportamento connotato dal dolo generico. Importante è che non si ecceda all'atto repressivo perchè, se è vero che lo "sfruttamento" sessuale del minore richiedeva un animus specifico maggiore, altrettanto veritiero è che l'ampliamento della condotta criminis sino all'utilizzo del minore per scopi sessuali, può giungere all'inaccettabile conseguenza di punire anche, quelle produzioni foto-video private, in cui entrambi i partners, es.adulto con minore che abbia già raggiunto l’età del consenso sessuale, siano consenzienti al rapporto, colpevoli solo di ricorrere a particolari quanto mai fantasiose pratiche sessuali. Nessun dubbio sull’esclusione della necessità di un’utilità economica in aggiunta alla privata lussuria dell’agente, necessaria è l’offesa alla personalità sessuale e alla fragilità del minore, ciò è quanto bisogna contrastare evitando ingerenze nella sfera privata in cui tale offesa o pericoli manchi. A sostegno dell’esigenza di una più incisiva tutela dei minori la volontà del legislatore nell’introdurre, sempre al primo comma dell’articolo in commento, l’ipotesi “dell’induzione” del minore alla partecipazione di esibizione pornografiche; ossia l’inganno mediante il quale l’adulto fa accettare al minore una situazione che consapevolmente non avrebbe mai accettato. Perplessità sorgono in ordine agli artt. 600quater e 600quater I. Come già detto, la detenzione di materiale pedopornografico rimanendo nella sfera privata dell'agente, comportava notevoli dubbi di legittimità in mancanza di una violazione del principio di offensività. In effetti, la detenzione di detto materiale non era idonea a ledere o mettere in pericolo un qualche bene giuridico tutelato dalla norma, da qui l'esigenza dello Stato di intervenire, comunque, nell'esclusivo interesse di prevenire condotte ritenute prodromiche ovvero di concreto pericolo. Quest'ultima, su una bilancia di valori, avrebbe avuto un peso maggiore dinanzi alla volontà di un avvocato di far rispettare un principio fondamentale del nostro ordinamento nonché i diritti del proprio assistito. Può la situazione risolversi modificando semplicemente un termine che può condurre ai medesimi dubbi interpretativi? Con riguardo all'art.600quater I, pornografia virtuale, è vero non sono più contemplate le immagini raffiguranti persone che sembrano minori, ma si parla di rappresentazioni la cui qualità fa apparire come vere situazioni non reali. Insomma, cosa dire, cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia! Qui non solo manca una qualche offesa o messa in pericolo ad un bene giuridico, ma manca addirittura la vittima.

CONCLUSIONI.

La presenza di un grande numero di soggetti legati alla pedofilia ha partorito le ulteriori modifiche introdotte dalla legge n.38/06 il cui merito, senza dubbio degno di considerazione, è quello di tutelare il corretto sviluppo psico-fisico del minore attraverso un più incisivo intervento contro ogni tipologia di abuso a suo danno. Purtroppo, tale fine, viene perseguito mediante l'introduzione di alcune norme forse troppo generiche e poco chiare prestandosi, come già accaduto con la previgente normativa, alle innumerevoli interpretazioni di dubbia legittimità costituzionale. Basti pensare ai continui contrasti con i principi fondamentali che informano il nostro ordinamento, quali fra tutti il "principio di offensività", la cui violazione si verifica spesso e soprattutto in relazione alla mancanza di una precisa e corretta definizione della pornografia minorile; nonché le continue ed indiscriminate ingerenze nella sfera giuridica privata dei soggetti coinvolti sulla base di un semplice sospetto. A parte le premesse considerazioni, il nobile intento del legislatore assume maggiore rilevanza nella fase preventiva di intervento, laddove numerose sono le persone competenti che a vario titolo si inseriscono in quei sistemi di controllo e di monitoraggio via Internet al fine di impedire la diffusione di materiale pedopornografico e lo sfruttamento, in genere, del minore. Anche se, secondo il comunicato ALCEI del 13.02.06, con i nuovi obblighi i provider vengono di fatto gravati di eccessivi oneri divenendo dei veri e propri poliziotti, criticando, nel medesimo comunicato, le modifiche introdotte dalla nuova legge come norme incivili che "aggiungono altre barbarie legali" con il pretesto della tutela dei minori. Mentre da un altro versante, A. Cadoppi, su Guida al Diritto n.9, pag.44, scrive di "aberrazione giuridica" legata alla violazione dei vari principi Costituzionali e di eccessiva indeterminatezza delle norme. Esercitare solo funzioni di controllo, punizione e difesa, trasformano, quello che dovrebbe essere un intervento di aiuto, in un sicuro fallimento. L'omissione più grave, accanto alle su menzionate perplessità, è la mancata predisposizione di uno spazio destinato al trattamento terapeutico per il recupero del pedofilo al fine di risocializzazione dello stesso in conformità, tra l'altro, allo scopo che la pena ha nel nostro ordinamento. Nelle diverse proposte di legge e da più parti sia in ambito medico che dal governo, la pedofilia viene classificata come malattia sia pur non alla stregua dei gravi disturbi mentali che comportano, come conseguenza, un’elusione della pena. Ciò si può ragionevolmente presumere dalle varie strategie terapeutiche proposte, tra le quali rientra la c.d. "castrazione chimica", ossia una terapia farmacologica con lo scopo di contenere, fino a rimuovere laddove risultasse possibile, il sintomo morboso di attrazione erotica verso i bambini. La difficoltà di un simile trattamento è legata all'impossibilità di una sua introduzione obbligatoria in quanto, la legge, richiede il necessario consenso del paziente a qualsiasi trattamento medico senza il quale lo stesso non può essere intrapreso, salvo il caso d’interventi medico-chirurgici urgenti. Vi è chi ritiene, invocando a sostegno l'art.32 Cost., l'obbligatorietà del trattamento di recupero in virtù di un indubbio vantaggio nei risultati, nella facile praticabilità dello stesso anche negli istituti penitenziari e nel costo contenuto dei farmaci da impiegare. Soprattutto sostenendo che, il diritto alla salute, è garantito come dovere dello Stato non solo nell'interesse del singolo individuo al quale si riferisce, ma dell'intera collettività. Senza dubbio le atrocità esercitate sui minori, i gravi danni psichici oltre che fisici subiti in seguito all'abuso, la forte esigenza di protezione avanzata dalle famiglie, sono tutte richieste di aiuto, di una vita serena e tranquilla contro il pericolo di recidiva in cui tali soggetti, proprio perchè malati e privi di sostegno, possono incorrere. Su una bilancia di valori, i diritti del fanciullo, come riconosciuti dalla Convenzione ONU, la sua adeguata crescita psico-fisica, sono o non sono quel minimo di diritto alla salute che lo Stato dovrebbe tutelare? Sottoponendo obbligatoriamente alla terapia i soggetti coinvolti così ottenendo un recupero sociale dei medesimi, un contenuto rischio di recidiva, una più efficace protezione verso quei bambini che fortunatamente non hanno conosciuto cos'è la violenza sessuale, un più ampio raggio di tutela della collettività, ci si chiede: dov'è il contrasto con l'art.32 della Costituzione? Se la pena tende alla risocializzazione del reo per un futuro inserimento come "uomo civile" nella società, la terapia non ha forse il medesimo scopo? In Belgio, una recente legge del novembre 2000, ha introdotto l'obbligo del trattamento terapeutico per il delinquente sessuale. In Olanda ed in Spagna sono previsti dei centri specializzati di recupero, salvo l'eccessiva brutalità prevista in terra olandese e consistente in pubblici avvisi rivolti alla comunità locale nei quali è allertata del possibile rischio di recidiva in cui può incorrere il delinquente rilasciato in seguito all'esecuzione della pena. In Italia non è stata normativizzata neanche la possibilità di sottoporsi volontariamente ad una terapia, disponendo, all'uopo, uno specchio dettagliato sui tipi di farmaci da impiegare, sugli effetti, sul tipo di somministrazione e sulle possibilità di riuscita. Non può risolversi un problema se non si individua l'origine che l'ha scatenato al fine di eliminare o circoscrivere la causa del male.

Daniela Castagna - maggio 2006

(riproduzione riservata)

BIBLIOGRAFIA.

GUIDA AL DIRITTO, N.9, IL SOLE 24 ORE.

CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DEL FANCIULLO.

http://www.altalex.it/, norme contro la pedofilia e la pedopornografia anche a mezzo Internet. Legge 06.02.06, n.38, G.U. 15.02.06.

http://www.interlex.it/, diritto tecnologia informazione, “Comunicato ALCEI” 13.02.06.

G. MAROTTA, con la collaborazione di I. CORRADINI, C. DI FEDE, R. DI PIETRO, P. GALDIERI, V. GUIDUCCI, G. STEFANO MANZI, G. ME, A. PICCI. Tecnologie dell’informazione e comportamenti devianti, Ed. Universitarie di Lettere Economia e Diritto, Milano 2004.

MASSIMO POLITI, Magistrato, La legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori (L.3 agosto 1998, n. 269), Ed Laurus Robuffo, Roma 1998.