raccolta di collegamenti e qualche appunto su questioni di diritto dell'informatica, sicurezza, morale...

giovedì 24 aprile 2008

Una legge virtuale per un allarme virtuale

http://www.repubblica.it/online/internet/convint/convint/convint.html

"E' come se Agnelli venisse condannato perché la gente corre troppo in macchina...". "E' come se le Poste venissero ritenute penalmente responsabili dei pacchi bomba inviati dagli squatter ai magistrati torinesi...". "Come se...". Si ricorre ai paragoni perché mancano le parole per definire la "mostruosità giuridica" della legge numero 269 dell'agosto 1998, nota come legge anti pedofilia, che oltre a punire lo sfruttamento sessuale dei minori obbliga anche gli Internet provider, pena la chiusura e il sequestro dei server, a una impropria funzione di controllo e di censura dei contenuti da loro veicolati.

Di questa legge "d'emergenza", approvata all'unanimità mai mai discussa in Parlamento perché votata in sede legislativa dalle commissioni Giustizia di Camera e Senato, si è discusso a Roma nel convegno "Pedofilia e Internet: vecchie ossessioni e nuove crociate" organizzato dai Radicali. Molti gli interventi, e quasi tutti hanno sparato senza pietà sulla legge "da caccia alle streghe", illiberale, anti garantista, cavallo di Troia contro Internet, come l'hanno definita tra gli altri l'eurodeputato Ernesto Caccavale, il professore di Diritto Sergio Seminara, il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin, il direttore di Agorà telematica Roberto Cicciomessere. La discussione ha riguardato vari aspetti della legge dalla responsabilità degli Internet provider alla punibilità di chi "detiene" materiale pedo-pornografico alla pedofilia in generale, come criminalità ma anche come diversità sessuale.

La questione che riguarda Internet è l'articolo tre della legge. Che da una parte stabilisce la pena per chi sfrutta i minori nella produzione di materiale pornografico, ma che recita anche: "Chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale pornografico o notizie e informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori, è punito con la reclusione da uno a cinque anni". La frase incriminata è dunque quell'"anche per via telematica", che inserisce i fornitori di accesso a Internet tra coloro che divulgano e distribuiscono gli "oggetti del reato" della pedofilia. Perché il legislatore ha voluto essere così preciso? Perché non si è fermato alla frase "con qualsiasi mezzo"?

Una risposta a questa domanda è venuta da Giuseppe De Rita, presidente del Cnel: "Una legge virtuale per un allarme virtuale, scritta per nascondere una realtà spaventosa: la pedofilia è nella famiglia, il 90 per cento degli abusi sui minori avviene in famiglia". Le marce in Belgio con i palloncini bianchi, poi i titoloni sui quotidiani, poi i mostri creati forzando le tragiche cronache di violenza. Il tutto ha prodotto stereotipi e ha creato l'allarme. Una grande "bolla" d'opinione, ha definito De Rita questo fenomeno. Una "bolla di virtualità virtuosa", utilizzata dal legislatore per creare un reato ad hoc e rispondere quindi a un allarme per l'appunto "virtuale".

Il dato elaborato dal Censis è stato ripetuto con insistenza in tutti gli intervenuti: il 90 per cento degli abusi sessuali sui minori avviene in famiglia e l'8 per cento avviene in ambienti contingui alla famiglia, alla scuola e agli altri luoghi di aggregazione dei bambini. E' dunque nel rimanente due per cento dei casi che si nasconderebbe il pedofilo che adesca il minore via Internet, quello per il quale il legislatore ha scritto la clausola "anche per via telematica" con la quale gli Internet provider rischiano l'incriminazione e anche la chiusura qualora sui loro server transitino contenuti o immagini contemplati come reati dalla legge in questione.

Soluzioni? Rivedere la legge. Chiedere al garante della privacy Stefano Rodotà di intervenire per la tutela della riservatezza, ormai quotidianamente violata dalle indagini telematiche a tappeto che vanno dalle intercettazioni delle e-mail alla creazione di siti "per adescare gli adescatori", una sorta di agenti provocatori web. E ancora, altra soluzione: separare la criminalità sessuale dalla diversità sessuale, come ha detto Luigi De Marchi. "Per smontare la caccia alle streghe e il binomio Internet-pedofilia, è necessario scoperchiare gli ambienti intoccabili, cioè la famiglia e le parrocchie di tutte le religioni, le due istituzioni della pedofilia e della violenza sui minori", ha detto l'anziano psichiatra.

Altre possibili soluzioni sono state proposte dagli Internet provider, in sostanza tutte riassumibili in un concetto: per rendere la Rete più sicura i fornitori di accesso si impegnano a registare con cura i propri abbonati, in modo da poter rintracciare l'autore di eventuali fatti illeciti. In particolare Paolo Nuti, direttore dell'Internet provider McLink, ha messo il dito sul più generale problema dell'anonimato. "E' importante che l'utente di Internet sappia di non godere di una sorta di totale impunità", ha detto Nuti. "Chi usa Internet deve essere obbligato dal suo provider a conoscere prima, e quindi a rispettare poi, le regole del gioco". Quindi: niente accessi anonimi alla Rete (e qui sotto accusa sarebbero alcuni fornitori di accesso che hanno distribuito in questi mesi abbonamenti anonimi gratuiti di prova e che spesso non li hanno fatti scadere), "in modo che sia chiaro, una volta per tutte, il principio più elementare del diritto: la responsabilità di un atto criminoso è sempre individuale".

La battaglia contro l'anonimato, "gioco affascinante ma pericoloso, che a volte induce a compiere reati o addirittura a impossessarsi dell'identità di un altro", spiega Nuti, "è l'unica forma di autoregolamentazione possibile per un Internet provider: per mantenere l'ordine, ma soprattutto per obbligare gli utenti a essere responsabili delle proprie parole e dei propri gesti in Rete". E, oltre tutto, conclude Nuti, anche l'anonimato assoluto, dietro cui si nascondono sia il pedofilo che va a caccia nella Rete sia gli altri criminali che utilizzano Internet, è un'illusione: "Ogni provider, su ordine della magistratura, è in grado di risalire in poco tempo alla vera identità di un criminale". E anche se il crimine avviene per posta elettronica anonima (Hotmail, Yahoo e i tanti servizi di e-mail gratuite), anche in quel caso non è vero che ci sia l'impunità totale e la libera scorribanda. Il tempo è più lungo, è necessario far partire una rogatoria internazionale, ma il pedofilo, il ladro, il calunniatore o il truffatore verranno comunque individuati.

(27 ottobre 1998)